Come ti infilzo gli scrittori che scrivono troppo

Come ti infilzo gli scrittori che scrivono troppo

Jerome K. Jerome (1859-1927), il quale secondo il più facile dei luoghi comuni, campo che seppe sminare con infallibile puntiglio, sarebbe riduttivo definire come «umorista», fu brillante giornalista e eccellente narratore. Per tacer di Tre uomini in barca.

In realtà fu uno straordinario osservatore e implacabile raccontatore delle situazioni più comuni e quotidiane, a partire da quelle in cui gli capitava di imbattersi: cene fra scrittori, presentazioni di libri, eventi mondani, «vita di società», come si dice. Di simili riflessioni oziose, trasportate su pagina con arguzia e cattiveria, ha riempito libri imperdibili, come la raccolta di saggi Idle Ideas in 1905 (del 1905...). Da qui la curatrice Chiara Voltini ha estratto sette brevi divertissement intellettuali, tutti in forma interrogativa, e ha costruito per l'editore Mattioli 1885 un irrefrenabile pamphlet, titolo: Gli scrittori scrivono troppo? La risposta, ieri come oggi, è «sì».

Ma prima di spiegare il perché, vale la pena citare alcune delle altre domande che si pone Jerome K. Jerome tra party e salotti in cui si parla di letteratura, arte, editoria... Tipo: «Siamo davvero interessanti quanto crediamo di essere?», che è il primo dei sette fulminati saggi. Parlando di scrittori, giornalisti e intellettuali vari, potete immaginare l'opinione dell'autore. Individualista, egoriferito e narciso, quello delle Lettere è un mondo in cui «Una persona di piacevole compagnia è solo una persona che è d'accordo con te». Oppure: «Dovremmo dire quello che pensiamo, o pensare quello che diciamo?». Che in tempi come i nostri, dominati da conformismo, correttezza del linguaggio, cancellazioni e (auto)censure, è domanda per nulla inattuale. O anche: «Le storie dovrebbero essere reali?». Domanda per la quale Jerome K. Jerome ha una duplice risposta (tra impegno e finzione). La prima: «Se la letteratura deve essere considerata unicamente come il passatempo di un'ora oziosa, allora minore è il suo rapporto con la vita reale meglio è». La seconda: «Se la letteratura deve essere un aiuto, tanto quanto un passatempo, deve occuparsi di ciò che è brutto come di ciò che è bello. Deve rappresentarci non come vorremmo apparire, ma come le persone che sappiamo di essere veramente».

Per quando riguarda invece la questione capitale, ossia se «Gli scrittori scrivono troppo?», beh, come dare torto - oggi, che è persino peggio - allo scrittore inglese? Che si stupiva dell'appiattimento narrativo, dei luoghi comuni linguistici (di cui fa irresistibili esempi), della mancanza di originalità e l'uniformità dei caratteri dei personaggi che dominavano i romanzi del suo tempo.

«Una volta un uomo scriveva all'incirca una mezza dozzina di romanzi nel corso della sua carriera... Al giorno d'oggi, quando un uomo produce un romanzo e sei racconti all'anno, la descrizione dev'essere messa da parte». Era il 1905.

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