Com'è andato il primo anno di Claudio Brachino 2.0, direttore di Sport Mediaset oltre che di Videonews?
«Lo sport è uno degli amori della mia vita. Ho trovato colleghi come Pierluigi Pardo arrivato da Sky, e altri come Marco Francioso, Lucia Blini, Guido Meda o Giorgio Terruzzi che avevo conosciuto a Studio Aperto. Senza dare giudizi su nessuno, l'obiettivo era riportare un po' in alto il brand di Sport Mediaset. Direi che la redazione è tornata al livello della sua storia e Brachino 2.0 è un direttore un po' rinato».
Dalla direzione di tg allo sport: cosa l'ha colpita delle regole di questo nuovo pianeta?
«Come molte redazioni sportive, anche la nostra aveva la tendenza a considerarsi un mondo a parte. Essendomi occupato di politica, cronaca e costume considero lo sport parte del racconto di una società. Per questo da lunedì su Italia Uno abbiamo ampliato a un'ora, dalle 13 alle 14 (1,7 milioni di telespettatori) il tg dell'ora di pranzo».
Adesso incombe la prova Mondiali...
«Un evento di comunicazione globale, politico e sociale oltre che sportivo. Non possiamo limitarci a raccontare lo schema di gioco del Brasile o a chiederci se Prandelli schiererà Immobile con Balotelli. Da direttore spaesato quale mi vanto d'essere mi auguro di usare il calcio come fatto culturale».
Come ve la caverete senza diritti?
«Ci ripariamo sotto l'informazione con la maiuscola. Abbiamo cinque inviati in Brasile, non pochi. Non dimentichiamo che Sport Mediaset è una piattaforma che appartiene all'Agenzia d'informazione di Mediaset e serve i tg delle reti, i tg sportivi in chiaro e i tg della pay-tv che per l'occasione si ampliano e arricchiscono parecchio».
La sua soddisfazione di quest'anno è il successo di Tiki Taka.
«Una soddisfazione pari a quella di aver risistemato i tg e i contenuti di Premium. Tiki Taka si è subito imposto come marchio e linguaggio grazie a una serie di combinazioni felici. Innanzi tutto il lavoro sul nome, derivato dal libro di un amico di Pardo. Poi c'è l'ironia da processo che ci mette il conduttore. E poi il gran lavoro della redazione di Sport Mediaset al completo, senza aver creato redazioni specifiche».
Stasera andate in prima serata.
«È un battesimo che mi terrorizza. La mia idea era Pardo da Copacabana, ma vista la labilità dei collegamenti via satellite, gli ho detto di tornare per fare da qui la vigilia. Poi ripartirà».
Mi tolga una curiosità, va in onda scarmigliato per scelta?
«L'ho sempre visto così, in studio e fuori. È un iperattivo, con quella fisicità che ricorda il Giampiero Galeazzi da giovane...».
Cosa pensa del pasticcio sulla gara per i diritti della Serie A?
«Questo argomento compete ai vertici aziendali. Segnalo solo che sia per la Champions che per la Serie A ho visto grande attenzione al calcio, centrale nelle strategie editoriali».
I giornalisti sportivi sono bizzosi quanto quelli dei tg e dei talk?
«Se la bizzosità è un virus, diciamo che ha contagiato anche gli ambienti sportivi, ma forse abbiamo trovato gli antidoti. Ricordo quando da giovane entrai nello studio delle evening news di Dan Rather dove regnava un silenzio totale. Abbozzai una parola e mi zittirono cortesemente. Ecco, dovremmo importare quest'ordine nei nostri studi».
Faccia il podio dei tre migliori telecronisti.
«Senza parlare tanto degli altri scelgo Sandro Piccinini e Pierluigi Pardo, contento che lavorino entrambi per me. La medaglia di bronzo la lascio libera».
E il podio dei commentatori?
«La seconda voce è una tecnica complessa. Aldo Serena e Beppe Bergomi si dividono i primi due posti».
Cresce un modo di trattare lo sport come narrazione. Mi riferisco a Federico Buffa e alla nascita della rivista Undici, trimestrale di lettura. È una sfida impossibile, abituati come siamo a far dominare il tifo?
«È una scommessa difficile. Quest'anno mi sono cimentato con i vent'anni dalla morte di Ayrton Senna e il decennio dalla scomparsa di Pantani. Raccontare gli eroi dello sport facendone emergere lo spessore umano, la psicologia, la cultura è una grande sfida. Da lì è nata l'idea di un nuovo format che non dev'essere il cugino povero di Sfide, bellissimo programma, ma un nuovo approccio estetico alla narrazione sportiva».
È già in palinsesto nel prossimo anno?
«No, è solo nella mia testa.
Claudio Brachino
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