"Torniamo a studiare la Deledda a scuola". E la critica approva

"Torniamo a studiare la Deledda a scuola". E la critica approva

La prima volta fu nel 1913, su segnalazione di Luigi Luzzati, giurista ed economista, e di Ferdinando Martini, docente di Letteratura italiana alla Normale di Pisa, accademico della Crusca e parlamentare. I due la riproporranno a più riprese sino al 1918. Nel frattempo, 17 componenti dell'Accademia dei Lincei la mettono in lista nel 1921. E dal 1914 al 1924 la caldeggiò il barone Carl Bildt, diplomatico e ambasciatore svedese a Roma per lungo tempo, oltre che membro dell'Accademia di Svezia, a conferma dell'interesse internazionale che la circondava. Ma fu solo nel 1926 che la nuorese Grazia Deledda, autodidatta, autrice di capolavori come Elias Portolu e Canne al vento, oltre che di 350 novelle, più di 30 romanzi e numerose poesie si aggiudicò il Nobel per la Letteratura. Novant'anni dopo, Deledda è la scrittrice sarda più famosa al mondo, nonché l'unica italiana ad aver vinto il Nobel, dopo Carducci e prima di Pirandello «per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi». Dopo di lei, solo un'altra italiana ha vinto: Rita Levi-Montalcini.

«Eppure, oggi, quest'autrice sembra essere invisibile: è marginale nei programmi scolastici, dimenticata dai mezzi di comunicazione e quasi rimossa dalla nostra memoria collettiva», spiega al Giornale Elena Centemero, Presidente della Commissione «Equality and Non Discrimination» del Consiglio d'Europa e responsabile scuola e università di Forza Italia. Di qui la mozione parlamentare della Centemero, in discussione alla Camera dei Deputati, per far uscire la Deledda dal cono d'ombra e impegnare il governo a individuare iniziative per celebrare l'anniversario, farla conoscere su scala nazionale, farne studiare nelle scuole la figura e l'opera. Ma perché oggi un Millennial dovrebbe aprire le pagine di opere come La madre o Marianna Sirca o - per dirla con una domanda degna di un film di Nanni Moretti - «Qual è l'attualità di Grazia Deledda?»: «È una donna che ha saputo con la sua forza di volontà e caparbietà mettere a frutto il proprio talento», risponde la Centemero. «In questo c'è l'attualità di forza, umiltà e capacità che le donne possono offrire a questo Paese. Poi c'è l'attualità letteraria: dolore e passione, senso dell'esistenza umana, ricerca cattolica».

Il panorama editoriale non offre grandi sponde a queste considerazioni: compare periodicamente un'uscita nei cataloghi degli editori sardi, come Delfino (che nel 2016 ha pubblicato anche una nuova biografia basata su documenti storici e carte private a firma Maria Elvira Ciusa) o Il Maestrale, si moltiplicano i libri di testo e sono sempre disponibili più di una edizione di Canne al vento (nuova quella di Newton Compton, che nel 2016 ha riproposto anche Marianna Sirca), ma effettivamente poco si muove. La critica si schiera a favore della grandezza: «Con le opere, ha la capacità di penetrare nelle psicologie, rovistare nelle anime - commenta il critico letterario e italianista Ermanno Paccagnini -. E in ciò che della sua vita privata diventa narrativa, come in Cosima, è modello ispiratore di indipendenza, di diventare brava da sola». «Io sono un fan - aggiunge il critico e docente Massimo Onofri -.

Però la cosa migliore che si può fare per tutelare questa grandissima scrittrice è disancorarla dai codici della civiltà agropastorale dentro cui la si schiaccia e constatare il fatto che oggi la Deledda, con suo nichilismo testamentario, è la più grande scrittrice russa italiana del Novecento. Certo che se facciamo uscire dalla sua manica i romanzetti di Niffoi ne risulta una recita imbarazzante: i Niffoi nuocciono alle Deledda».

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