Dopo il "Tramonto" l'Occidente di Spengler sa come risorgere

Dopo Il tramonto dell'Occidente, uscito in due parti, dal 1918 al 1922, molte notti insonni portarono a Oswald Spengler Anni della decisione, pubblicato nel 1933

Dopo il "Tramonto" l'Occidente di Spengler sa come risorgere

Dopo il tramonto viene la notte, e la notte porta incubi e sogni. Quindi porta consigli, sulle cose da non fare, da distruggere, e su quelle da fare, da costruire. Consigli che, se accolti, diventano decisioni. Così, dopo Il tramonto dell'Occidente, uscito in due parti, dal 1918 al 1922, molte notti insonni portarono a Oswald Spengler Anni della decisione, pubblicato nel 1933. Il tramonto dell'Occidente sta alla dialettica fra Cultura e Civilizzazione come Autunno del Medioevo di Huizinga (1919) sta al trionfale tramonto di quell'epoca. Ma mentre Spengler parla di decadenza, del passaggio, appunto, dalla Cultura alla Civilizzazione, dove la seconda è volgarizzazione e depotenziamento della prima, lo storico olandese parla di inveramento, con il Rinascimento all'orizzonte.

Eppure anche Spengler, più pessimista di Schopenhauer, più disperato di Nietzsche, vide, in fondo alle sue notti solitarie e senza stelle, il barlume di un altro Rinascimento. Lo vide proprio in Anni della decisione (ora riproposto da Oaks editrice, pagg. 252, euro 12, traduzione di Anna Vittoria Giovannucci). Siamo dunque nel 1933, e molto, moltissimo è cambiato dai tempi di Il tramonto dell'Occidente, per Spengler e per tutta la Germania. «Nessuno poteva desiderare più di me lo sconvolgimento nazionale di quest'anno»: così attacca l'introduzione dell'autore. Ovvio il riferimento alla nomina di Hitler a Cancelliere. Ma... i «ma» sono più grossi del Reichstag che accoglie il Führer. E cominciano già al secondo paragrafo: «Colui che agisce, spesso non guarda lontano. Viene sospinto senza conoscere la vara meta». E, al terzo paragrafo: «Io non biasimerò né adulerò».

Infatti. Il cittadino Spengler, con senso del dovere, ha votato Hitler, il presente e il futuro, non il passato, cioè Hindenburg. Ma lo ha fatto... turandosi il naso. Il suo è stato un voto di protesta, non un voto entusiasta. Sa che «tutto, dico tutto, apparirà sempre ugualmente bello e buono a questo popolo». Dove «questo popolo» è la Germania, non la Prussia. E non è la stessa cosa. La Prussia, il prussianesimo come disciplina, come ordinamento prima interiore, individuale, e poi esteriore, statale, come filosofia, insomma, è il suo modello, che ora vede gravemente malato, allettato, infermo, e perciò da curare fino a farlo risorgere. Centomila copie in tre mesi, un botto clamoroso. Poi, anche questa volta, il tramonto. Anni della decisione, se come tema - l'atto di forza indispensabile per spazzar via il mostro chiamato «bolscevismo liberale», cioè il patto scellerato fra la glorificazione del proletariato e l'economia che detronizza la politica - può piacere al nuovo regime, come svolgimento ne mina le basi.

Perché Spengler parla di «razza etica», non «zoologica», con tanti saluti all'arianesimo. Perché Spengler non ama chi mostra i muscoli, ma chi li usa a favore di un ideale superiore e planetario, dove i muscoli sono quelli del rigore e dell'obbedienza prussiani, appunto, e persino «socialisti». «Essere servitore dello Stato è una virtù aristocratica, di cui solo pochi sono capaci. Se ciò è socialistico, allora questo è socialismo superbo ed esclusivo per uomini di razza, per una vera élite», con tanti saluti all'industria di guerra. Perché i «lacchè del successo sono da noi più numerosi che altrove», con tanti saluti alla pletora di gerarchi-impiegati.

E perché la Germania «non è un'isola, come pensano gli ideologi politici che desidererebbero realizzare in essa l'oggetto dei loro programmi», con tanti saluti all'«über Alles».

Tre anni dopo, nel 1936, Spengler morirà solo. Com'era sempre stato e come aveva sempre pensato.

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