Oggi atterra nelle librerie italiane la colossale Trilogia dell'inumano (La nave di Teseo, euro 28) di Massimiliano Parente, firma di questo quotidiano. Si compone di tre romanzi giù pubblicati ma interamente rivisti per l'occasione. Ecco i titoli nell'ordine in cui sono stampati: Contronatura (2008), La macinatrice (2005) e L'inumano (2012). Sono 1665 pagine in aperta rivolta contro tutte le convenzioni culturali. Sono tanti i motivi che spingono a leggere questo libro. Innanzi tutto la scrittura radicalmente diversa da quella omologata. Il manuale del romanzo italiano medio prevede un vocabolario e una sintassi da quinta elementare organizzata come segue.
Breve descrizione. A capo.
Battuta di dialogo. A capo.
Battuta di dialogo. A capo.
Battuta di dialogo. A capo.
Breve descrizione. A capo.
Battuta di dialogo. A capo.
E così via per circa 200 pagine. Praticamente una sceneggiatura (spesso brutta). In questo modo, tra l'altro, si riesce a trasformare un pensierino in un romanzo. Laddove gli «a capo» e le eleganti pagine bianche non siano sufficienti, si può ricorrere al celebre «corpo Veltroni» sperimentato nei libri di Walter, cioè si stampa il romanzo in un carattere dalle dimensioni così esorbitanti da essere leggibile a occhio nudo dalla Luna. Ma c'è anche l'altro versante, più artistico, si fa per dire, della romanzeria media dove si spacciano le incertezze della sintassi per grande prosa: in questo caso la candidatura allo Strega è obbligatoria, magari ci scappa anche la vittoria e la direzione di una sagra del libro a caso. Nella Trilogia, al contrario, la sintassi ha un «piglio torrenziale» (Piersandro Pallavicini nella bella Introduzione). Il ritmo incalzante tiene il lettore incollato ai lunghi periodi nei quali non ci si perde mai.
Anche a livello tematico siamo lontani mille miglia dal romanzo italiano medio che generalmente offre: aneddoti autobiografici elevati al rango di storie esemplari; impegno civile aggiornato alla crisi umanitaria del momento; realismo sociale con immancabile condanna della borghesia; riflessioni del guru da scalata o da ombrellone; escursioni, simili ormai ai safari, nei rioni malfamati; storie di scrittori che scrivono romanzi su scrittori che non riescono a scrivere romanzi; e soprattutto detective di qualsiasi foggia nobilitati da autori espertissimi (secondo le quarte di copertina) nel genere noir.
Il campionario di Parente prevede invece: il silicio dei computer, i bit delle informazioni digitali, il ronzio delle telecamere, il vociare della televisione, la frenesia dei videogiochi, l'ossessione per la pornografia, l'ansia di finire gli ansiolitici, il darwinismo, le ere geologiche, le leggi della termodinamica, la tavola degli elementi. E poi: la devastante consapevolezza di essere macchine imperfette, programmate dalla natura per rompersi e sparire nel nulla; la devastante consapevolezza di avere una data di scadenza e il conto alla rovescia sempre davanti agli occhi; la devastante consapevolezza che l'intero universo è organizzato come un campo di concentramento; la devastante consapevolezza che tutto questo dolore è inutile, non salva nessuno, non salva chi amiamo, non salva i nostri padri, non salva i nostri figli, non ci salva. Non c'è via di scampo, al massimo possiamo illuderci (se ci riusciamo) o stordirci (accelerando così la fine). Non c'è alcun raggio di luce se non l'esistenza del libro stesso. Solo la letteratura ha un senso, quello che le attribuiscono gli scrittori interessati a ricreare il mondo con l'arte e non a rimasticare la cronaca. Il passaggio dalle settecento pagine di Contronatura alle trecento de L'inumano corrisponde alla messa a fuoco, al rivelarsi della realtà. Non a caso, dopo la Trilogia, verranno romanzi dove Parente si concentra maggiormente sulle storie, sempre a modo suo (Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler e L'amore ai tempi di Batman). Ma nella Trilogia non ci sono barbose tirate filosofiche: Parente racconta sempre e lo fa con senso dell'umorismo.
La Trilogia dell'inumano è un oggetto contundente lanciato in faccia alla mediocrità programmatica. Si occupa dell'infinitamente grande (il gelo dello spazio cosmico) e dell'infinitamente piccolo (i batteri dell'intestino) in un'epoca interessata solo all'infinitamente medio.
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