Cultura e Spettacoli

La trincee di «1917», capolavoro da Oscar

di Sam Mendes con George Mac Kay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong

Raccontare gli stati d'animo di chi combatté la Grande Guerra senza raccontare la guerra. Le vicende. La cronaca. La successione degli scontri. Le mosse sullo scacchiere politico. Prospettive su cui il cinema si è già espresso. Sam Mendes - il regista di American Beauty, Skyfall e Spectre - ha scelto di scavare nell'uomo. Negli uomini. E questo splendido 1917 mette in mostra la storia di amicizia e lealtà di due soldati, ai quali viene affidato il compito di attraversare le linee di un nemico in sospetta ritirata, per avvisare un battaglione distanziato di evitare l'attacco che costerebbe la vita di 1.600 militari. La presunta «fuga» tedesca altro non sarebbe infatti che una trappola per sterminare l'avversario. Parte così l'odissea dei commilitoni, abili con le mappe e poco affidabili in battaglia. Una trama che Mendes costruisce su misura attraverso le testimonianze di nonno Alfred, classe 1898, che nella regione francese a nord della Somme combatté davvero. Anzi. Attraversò proprio per portare quell'ordine del generale (interpretato da Colin Firth) all'ufficiale distaccato (Benedict Cumberbatch). Nessun biografismo familiare, però. Il nonno fu impiegato come messo per la sua bassa statura (solo 1,68) e altri dettagli sono tratti dal baule dei ricordi scritti lasciati dall'anziano, ex militare. Il resto è frutto di fantasia di una sceneggiatura che mette lo spettatore al centro delle vicende. Il largo ricorso alla ripresa in soggettiva è studiato proprio per trasferire questa impressione e consentire al pubblico di vivere in prima linea le emozioni e la sofferenza di quei giovani in trincea. Le paure. I drammi. La nostalgia di casa. L'ordine da eseguire. La speranza di salvare la pelle. La paura di non farcela.

Sono due ore di grandissimo cinema quelle che regala questo 1917, candidato a dieci Oscar - tra cui film, regia, fotografia e sonoro - in categorie artistiche e tecniche che la dicono lunga, anzi lunghissima, su valore, qualità e spessore di un'opera che sarebbe un peccato mortale vedere sul piccolo schermo per amor di streaming o pigrizia individuale.

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