Sessantanove, settanta, settantuno. Cambia poco. I numeri contano solo se sono alti e da una precisa parte politica. Ma quando si abbassano, a sinistra non fanno più rumore. E i gufi si ammutoliscono. Lo spauracchio dello spread è svanito come una bolla di sapone. 69, 70, 71 punti base. Era dal 2009 che non era così basso e in quell'anno, guarda caso, c'è al governo Silvio Berlusconi. E sempre con lui lo spread è diventato poi la clava da agitare: agenzie di rating, opposizione, signori dell'austerity. Tutti a dire che se si alza lo spread si abbassa la credibilità all'estero e gli investitori non investono nel nostro Paese. E adesso? La musica è cambiata, le agenzie di rating promuovono l'Italia e quindi il governo Meloni ma non fa notizia.
Adesso, secondo gli analisti, le migliori opportunità si incontrano tra i Btp di durata compresa i 10 e i 30 anni e tra le emissioni più "corte" a 5 anni. C'è un'Italia in cui credere.
E non è quella che dipingono Schlein e Conte. Così come evidentemente non è quella in cui credono loro. Eppure, esiste. Non fa trionfalismi, ostenta meno di quanto potrebbe l'affidabilità raggiunta. E ascolta serena il silenzio dei gufi.