Il dramma degli italiani di Istria e Dalmazia è iniziato con l'8 settembre del 1943 ma è proseguito per decenni e non è solo riducibile ai cosiddetti massacri delle foibe (che furono soltanto una parte delle violenze perpetrate dai partigiani delle formazioni titine). Per documentare questa tragedia che è costata migliaia di vittime e ha prodotto centinaia di migliaia di esuli, il Giornale pubblica in occasione del Giorno del ricordo il saggio di Guido Rumici Fratelli d'Istria italiani divisi (pagg. 214, euro 8 più il prezzo del quotidiano).
Studioso di Storia economica, Rumici ricostruisce gli eventi che portarono all'esodo forzoso degli italiani e allo svuotamento di intere comunità come Collalto o Portole d'Istria. Ma è attento anche a evidenziare il dramma di chi rimase in una Jugoslavia che guardava con feroce sospetto anche chi aveva accettato per vari motivi (la convinzione politica, la semplice impossibilità di abbandonare tutto...) di restare nei territori ex italiani. Ne esce un quadro terribile in cui chi rimase fu sottoposto a ogni forma di angheria ed epurazione. Il desiderio di sradicare culturalmente e «normalizzare» gli italiani arrivò a generare vere e proprie follie. Tanto per citare alcuni degli esempi più grotteschi: a un italiano di Pola, tale Felice Giugno, venne consegnato un documento di identità in cui era diventato Srecko Lipanj (la traduzione letterale del suo nome).
E ad Albona la via Giuseppe Verdi divenne con analogo procedimento Ulica Josip Zeleni. Certo perdere il nome era sempre meglio che finire nei campi di rieducazione, come capitò a molti... Ci pensò poi l'applicazione feroce del comunismo a distruggere il tessuto economico di tutti i territori annessi.
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