Una truffa intrigante riuscita solo a metà

Recensione del film "Hotel Gagarin", del regista Simone Spada. Con Claudio Amendola, Giuseppe Battiston e Barbora Bobulova

Una truffa intrigante riuscita solo a metà

Più che altro, sembra un'occasione sprecata. Ed è un peccato, perché questo Hotel Gagarin, opera prima (in un lungometraggio) del regista torinese Simone Spada, aveva tutti i requisiti per trasformarsi, se non in un film di nicchia, almeno in un titolo di riferimento per il suo genere, sfruttando i molti elementi favorevoli a disposizione. A partire dal cast importante, decisamente di rilievo, passando per la location particolare scelta e da una storia che, seppur non sconvolgente, si prestava ad esaltare il comparto di attori scritturati. Invece, come quei maratoneti che partono troppo velocemente all'avvio salvo poi scoppiare alla distanza, il film illude nella sua prima mezz'ora per arenarsi inspiegabilmente in una seconda parte caratterizzata da stereotipi. In pratica, sono due pellicole vendute al prezzo di una. Da lodare la prima, da bocciare la seconda. Franco (Tommaso Ragno), ingaggia Valeria (Barbora Bobulova) per uno scopo subdolo: mettere le mani su dei fondi pubblici, producendo, ma solo sulla carta, un film in Armenia. A tal fine, la donna mette insieme una troupe di «falliti» e disperati, illudendoli sul progetto. Così, vengono ingaggiati un elettricista (Claudio Amendola), un fotografo con il vizio della droga (Luca Argentero, che supera l'abituale dose di sorrisi), una prostituta aspirante attrice (Silvia D'Amico) e, soprattutto, un professore sceneggiatore e potenziale regista (Giuseppe Battiston). Il piano di Valeria è quello di prendere i soldi e scappare, lasciando gli sventurati abbandonati al loro destino in terra straniera. A causa di una guerra, però, resteranno tutti bloccati nell'Hotel Gagarin del titolo. Una sosta forzata che permetterà a ognuno di loro di riscattare la propria vita.

Ecco, proprio la stucchevole redenzione personale finisce per fare a pugni con l'ironica premessa «cialtronesca» della partenza. Il coraggio di raccontare un'Italia precaria, truffaldina per necessità, si impantana tra «conversioni» prevedibili e melense.

Del road movie agrodolce resta solo il sapore di un brodino sciapo. Peccato, perché Simone Spada dimostra, in alcuni momenti, di avere idee e di saperle realizzare con talento. Lo farà, certamente, in un futuro prossimo.

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