di Gianni Baget Bozzo
«Che cosa sono io, uno sbaglio di Dio?», chiedeva a un sacerdote un giovane omosessuale che aveva scoperto in sé la realtà della inclinazione omofila. Il sacerdote non seppe che rispondere.
Lo sviluppo culturale e scientifico ci hanno infatti insegnato che esiste una condizione omosessuale, che non ha radice in una scelta libera e responsabile del soggetto e che, per il singolo omosessuale, appare come una situazione naturale, nel senso di data e non voluta. Omosessualità e sodomia non sono dunque la medesima realtà.
La tradizione biblica ed ecclesiale ha condannato la seconda, ma non ha affrontato il delicato problema sollevato dalla prima.
È per questo che il teologo si trova di fronte ad un problema nuovo, quando deve domandarsi quale sia l'intentio della Provvidenza divina nel far sì che esistano uomini e donne privati della inclinazione sessuale che loro compete.
Su questo argomento esiste, per quanto sappiamo, il silenzio della tradizione teologica.
Il problema è certo più grave in una cultura come la nostra in cui l'esercizio totale della sessualità è visto come la pienezza della condizione umana.
Ma se partiamo dal principio che l'uomo non è solo un corpo, ma anche un'anima e uno spirito, allora le condizioni problematiche, a cominciare da questa delicatissima, divengono segni di una realtà e di un destino dell'uomo che va oltre questo tempo e questo corpo.
Il senso della condizione omosessuale è anch'esso il segno che vi è aperta per l'uomo un'altra realtà e un altro destino: e che ciò che secondo il corpo e secondo il tempo rimane incompiuto è quanto Dio compie e colma con se stesso, ora e nel giorno del Signore, nella città di Dio.
Questa risposta è accessibile solo nella fede: ma solo la fede in realtà ha risposta al problema di tutti i limiti, a cominciare da quello della morte, che segnano la vita dell'uomo e la rendono un enigma a se stessa.
Il problema dell'intenzione divina sulla condizione omosessuale è tale da non consentire altra risposta che quella che è data dalla totalità della fede e della speranza cristiane.
Ciò nasce dal fatto che la Chiesa non può ammettere quella tesi del movimento omosessuale che fa della omofilia un esercizio alternativo e paritario rispetto alla eterosessualità.
Dal punto di vista della Chiesa, questa tesi parifica omosessualità originaria e sodomia.
La Chiesa non può non vedere nell'omosessualità originaria che una parte del dramma umano, il segno del limite sulla stessa vita sessuale, l'invito a ricordare che essa non può essere considerata il vertice dell'umano, il sigillo sulla integralità e sulla totalità dell'uomo.
Al giovane omosessuale, è forse possibile rispondere che la condizione omosessuale non è uno sbaglio di Dio, ma un segno della sua presenza.
Ci sono condizioni umane che hanno lo scopo di relativizzare gli assoluti che l'uomo erige per se stesso, di mostrare le falle dell'idolo.
Questo ci sembra il segno provvidenziale sulla condizione omosessuale: in essa Dio giudica il sesso come totalità, integralità, assolutezza. Dio giudica l'idolo.
E forse non è un caso che quella liberazione della condizione omosessuale che è la sua liberazione dal sigillo della perversione che per ultimo la psicoanalisi le ha imposto, avvenga proprio nel momento in cui il culto ed il mito del sesso invadono la cultura e il costume dell'Occidente post-cristiano.
Sul piano morale, dopo la dichiarazione Persona humana della Congregazione per la dottrina della fede (dicembre 1975), la Chiesa ha preso atto dell'esistenza dell'omosessualità originaria.
Si può dire che tale presa d'atto ha condotto, assieme ad altri fattori, a un profondo ritorno alle origini della morale cristiana.
Ricordiamo in particolare l'articolo che il decano dell'Accademia Alfonsiana, padre Domenico Capone, ha scritto sull'Osservatore romano.
In esso si ritorna a quel senso della morale come guida spirituale, anima per anima, caso per caso, che è all'origine della pastorale cristiana, e in cui il metodo non consiste nel creare un elenco di norme e sanzioni, paragrafando l'ordine dei peccati su quello dei reati, e misurando il metodo della morale sulla tecnica del diritto.
È questo sguardo di carità e di amore che la Chiesa ritrova ritrovandosi e in cui, imitando la filantropia divina, ritrova il senso autentico dei costumi cristiani, che hanno la misericordia divina quale modello assoluto.
Ci vuole molto tempo, molti
santi, per modificare un costume: ma è pensabile che anche la meditazione sulla condizione omosessuale ci conduca a comprendere meglio ciò che si deve intendere per legge nuova, legge della carità divina nella carità fraterna.
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