Cultura e Spettacoli

Gli ultimi eroi del metal. "Il nostro è rock duro ma non ispira violenza"

Rob Halford e il nuovo disco: "Dopo 50 anni suoniamo ancora al massimo del volume"

Gli ultimi eroi del metal. "Il nostro è rock duro  ma non ispira violenza"

Forse no, non l'hanno inventato loro. Ma i Judas Priest hanno dato i contorni essenziali a un genere musicale che per decenni è stato uno dei punti cardinali del rock, ossia l'heavy metal. Chitarre distorte, voce affilata, batteria in doppia cassa, ritmi forsennati. «È un tipo di musica più importante di quel che credono molti critici», dice Rob Halford da Phoenix, Arizona. A 67 anni conserva ancora quelle tonalità altissime e rabbiose che lo hanno trasformato nel simbolo dell'esagerazione sonora, diventando un modello pressoché insuperato. Non a caso, lui e i chitarristi Glenn Tipton e KK Downing affiancati in una sorta di danza tribale e cadenzata sono una delle immagini paradigmatiche dell'heavy metal. «Abbiamo iniziato a pensare all'aspetto scenografico della nostra musica durante il tour in Giappone a supporto del disco Stained class del 1978». Quella può essere considerata la data di nascita del look metal.

Vestito di cuoio punteggiato da borchie, arriva sul palco sgasando con una Harley Davidson e raccoglie in una immagine sola l'iconografia dei «metallari», uno dei sottogruppi musicali più fedeli e conservatori in circolazione. «E vuole sapere perché? Perché noi suoniamo duro, abbiamo chitarre potenti e facciamo scuotere le teste (il tipico headbanging - ndr), ma riuniamo le persone senza violenza. Ai nostri concerti vengono sempre decine di migliaia di ragazzi ma il clima è di gioia, non di rabbia o aggressione», spiega alla vigilia della pubblicazione di Firepower, altre quattordici canzoni che non tradiscono neanche un po' la ragione sociale della band: «Abbiamo lavorato molto duro per essere gli dei del metal (dalla loro canzone Metal gods - ndr) ma abbiamo ancora la stessa passione degli esordi. E poi, dopo che si sono sciolti i Black Sabbath di Ozzy Osbourne, ora siamo rimasti gli ultimi re ancora in attività». Dopotutto arrivano dalla stessa città, Birmingham nelle West Midlands inglesi, e hanno condiviso cupezza e rabbia trasformandole in un codice sonoro immediatamente riconoscibile. In fondo, hanno venduto oltre cinquanta milioni di copie dei loro dischi (British steel, Defenders of the faith e Painkiller tra i più apprezzati), inanellato decine di tour mondiali e creato polemiche come si conviene a una band che fa dell'eccesso il proprio marchio di fabbrica. «Anche se ci chiamiamo Judas Priest, la nostra fede non è mai stata in discussione. Se posso dirlo, siamo heavy metal christians, siamo musicisti molto fedeli. L'altro giorno ho seguito il discorso di Papa Francesco in Perù e mi sono trovato completamente d'accordo con lui, sta facendo il miglior lavoro possibile».

Quando parla, Rob Halford ha una voce totalmente diversa da quella che si sente sul palco o su disco. Invece che tagliente, è calda e rotonda, quasi teatrale: «Tutti noi abbiamo riflessi diversi nella nostra personalità», scherza prima di aggiungere: «Per tanti anni abbiamo lavorato e basta, ora mi sto guardando in giro e mi accorgo quanto grande è stata l'eco della nostra musica». Difatti, tanto per dire, anche Vasco Rossi li ascoltava visto che il riff di chitarra del suo brano Dimentichiamoci questa città (seconda traccia di Siamo solo noi del 1981) è chiaramente ispirato a Living after midnight dal disco British steel del 1980: «Ah sì, non lo sapevo, è un grande onore per noi. Ora sono molto interessato a scoprire meglio questo artista che in Italia fa concerti così affollati». A proposito, i Judas Priest saranno in concerto a Firenze Rocks il 17 giugno proprio con Ozzy Osbourne: «Tra qualche giorno ritorno in Gran Bretagna e inizio a fare le prove per il nuovo tour con gli altri della band. So che può sembrare retorico da dire, ma facciamo ancora parte di quel tipo di musicista che prende la vita dal proprio pubblico. Se noi siamo ancora in giro dopo quasi mezzo secolo, il merito è soprattutto di chi ci ascolta».

Insomma i Judas Priest sono il riassunto vivente di un genere musicale ma anche la negazione dello stile di vita rock: mai vizi, mai gossip, niente di niente.

«Abbiamo presentato al mondo un modo di intendere la musica, di alzare il volume, di essere provocatori senza diventare violenti o sbagliati: questo è stato il nostro vizio più grande», ridacchia con quella voce calda e pastosa in attesa di trasformarsi nella furia scatenata che sul palco riassume l'heavy metal meglio di chiunque altro.

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