Cultura e Spettacoli

Prima visione

Pierpaolo Zizzi è il nuovo alter ego di Pupi Avati negli Amici del bar Margherita, film fra i più cattivi della sua trentennale autobiografia per immagini.
Nella Bologna del 1954 - ricostruita a Cuneo per gli esterni - un bar via Saragozza è ritrovo di vitelloni dai trenta ai cinquant’anni. Nel desolante circolo virile ambisce d’entrare un adolescente (Zizzi) che sa riconoscere le belle ragazze, ma che sa, non può conquistarle. Del resto, tutto il gruppo è un’accolita di velleitari: c’è chi (Neri Marcoré) è disposto al matrimonio pur di avere qualche intimità sessuale; chi canta (Fabio De Luigi) e s’illude che il Festival di Sanremo gli apra le porte; chi affida il prestigio alle capacità di giocare al biliardo (Diego Abatantuono); chi ruba auto (Luigi Lo Cascio). E poi ci sono le figure di contorno, piccoli borghesi senza il complesso di esserlo, che non si compiangono per le loro vite qualsiasi.
Nella ricostruzione d’ambiente ci sono minime sviste: la macchina del caffè del bar, per esempio, è di un modello posteriore al 1954. Ma il resto, specie lessico e modi, sono fedelmente ricostruiti. Spiace solo che nessuno dei personaggi paia aver fatto la guerra o accenni agli eventi (la crisi di Trieste, per esempio), perché di politica si parlava parecchio nei bar di allora. E poi, a stare attenti, si deduce che la foto di gruppo degli amici è stata scattata non nel 1954, come vien detto, ma nel 1955.
Dovendo servirsi di Laura Chiatti, con la sua pessima dizione, Avati ha l’accortezza di farne un personaggio «etnico», onde giustificarne la pronuncia per nulla bolognese. Gianni Cavina ha trovato costumi - i pantaloni a vita altissima - che esprimono la sua età e l’ineleganza di allora più dei comportamenti lubrichi. Si rivede anche Claudio Botosso, che in Impiegati, sempre per Avati, aveva dato una bella interpretazione. Katia Ricciarelli si conferma ottima caratterista.

Luigi Lo Cascio si libera dell’immaginetta che si era costruita addosso, quella di un Berlinguer in sedicesimo: è un bene; ma ride, ride, ride e va sopra le righe.

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