Il 2 gennaio 1864, quando in Polonia infuriava la cosiddetta «Rivolta di gennaio» (dell'anno precedente), nata come protesta contro la coscrizione obbligatoria nell'esercito russo e proseguita con una sollevazione di tutto il popolo, compare sulla Gazzetta ufficiale di Venezia un articolo in cui si parla della «guardia d'onore, istituita in Polonia dal sedicente Governo nazionale, ch'altro non è, in sostanza, se non il Comitato di salute pubblica, di triste memoria; colla differenza che il Comitato rivoluzionario francese aveva il coraggio di mostrarsi in piena luce, mentre il Comitato pseudonimo e anonimo in Polonia si nasconde nell'ombra, e non ha al suo servizio se non bravi oscuri e poco esigenti; assoldati al prezzo d'una o due zwanziche al giorno». I termini «bravi» e, soprattutto, «zwanziche» si dovevano all'estensore-traduttore italiano il quale, da suddito del Regno Lombardo-Veneto artigliato dall'aquila asburgica, sapeva bene quanto poco valessero quelle banconote da venti kreuzer. C'era stato bisogno dell'estensore-traduttore perché il vero autore dell'articolo era il russo Pëtr Andreevic Vjazemskij (1792-1878).
Poeta, saggista, critico letterario ascoltatissimo e temutissimo, ex «decabrista senza dicembre» non per pavidità, ma per i molti e fondati dubbi sulla buona riuscita della congiura e poi diventato (malvolentieri, preferiva dedicarsi alle belle donne e al gioco, oltre che alla scrittura) uomo di potere per i numerosi incarichi ministeriali e diplomatici ricoperti, a 72 anni Vjazemskij continuava a produrre i suoi leggendari taccuini (temuti quanto le sue stroncature) pieni di curiosità, aneddoti, tranche de vie e caustici aforismi. Ma quella volta, in quell'articolo nato all'ombra di San Marco durante uno dei numerosi viaggi nell'amatissima Italia, aveva assunto un tono da velinaro di Palazzo, se non da oligarca. Per quanto, un oligarca russo molto diverso da quelli di oggi, fra i quali è di prammatica (salvo rarissime e pericolosissime eccezioni) la regola del silenzio assenso...
Semel in vita, potremmo chiosare, visti il carattere e i costumi di quest'uomo gaudente e salottiero, ironicamente sferzante e culturalmente disallineato. Figlio di un principe che per festeggiare la sua nascita comprò l'intero villaggio di Ostaf'evo, presso Mosca, non ricambiò le premure paterne. Sperperò a tempo di record mezzo milione di rubli; fece studi disordinati e svogliati; ebbe come tutore, dopo la morte di papà, il cognato Karamzin, celebre scrittore e storico; a 19 anni si sposò con Vera, la quale intraprese la non brillante carriera di angelo del focolare e della culla, visto che gli diede otto figli; e l'anno dopo si arruolò volontario giusto in tempo per la battaglia di Borodino, da cui uscì con l'Ordine di San Vladimiro di quarta classe per aver salvato un generale. Quando si trattò di scegliere da quale parte stare, nella successiva battaglia letteraria, quella fra «arcaisti» e «innovatori», si intruppò nel secondo schieramento, in cui peraltro agì sempre da battitore libero, fedele soltanto al culto di Pukin e del motteggio fulminante. Il suo genere preferito era l'«epistola amichevole», con cui prendeva, amichevolmente, per il naso chiunque: nobili, giornalisti, scrittori, intellettuali, generali, cocchieri, matrone... Per questo, esagerando come sempre accade, quando si affibbiano nomignoli, nel suo giro lo chiamavano «Asmodeo». Del demone biblico torturatore e assassino, ovviamente, non aveva nulla. Diciamo che alla tortura preferiva la puntura, e all'omicidio l'epicedio burlone.
Ora che, sottoposto alle amorevoli cure di Serena Vitale, esce da Adelphi il fior fiore dei taccuini di Vjazemskij, Briciole della vita (pagg. 205, euro 14, dal 19 maggio in libreria) possiamo anche noi lasciarci andare alle risate a denti stretti (cfr. La Settimana Enigmistica ed Elio e le Storie Tese), la specialità di questo Karl Kraus ottocentesco, di questo Woody Allen senza paranoie. Anche se la battuta più divertente la dobbiamo alla sorte e alla sua proverbiale ironia: sapete, fra i tanti, quale incarico gli affidò nel 1858 Alessandro II, lo zar liberatore, quello che di lì a poco avrebbe affrancato i servi della gleba? Capo della direzione generale della censura. Naturalmente durò poco. Al sovrano che gli chiese il motivo delle dimissioni rispose: «Preferisco combattere la censura da scrittore».
Nel florilegio che ci offre uno spaccato di Russia gogoliana, incasellata nei ranghi e incasinata dalla sua anima slava, troviamo di tutto. C'è il capo del distretto di polizia che, alle prese con i primi dati statistici da comunicare ai superiori, non sapendo letteralmente di che cosa si tratti e temendo una macchinazione ai suoi danni, risponde: «Vi prego umilmente di preservarmi da queste statistiche calunnie». C'è lo scrittore che, avendo la nomea di saper leggere il futuro nelle carte ed essendosi visto cancellare un pesante debito dall'erario dopo aver blandito lo zar Pietro III, si presenta alla di lui moglie Caterina alla quale confessa di non credere a quelle «stupidaggini». E Caterina: «Ne sono felice. Allo zar racconterò che mi avete rivelato cose portentose». Al ministero degli Affari esteri si parla un francese maccheronico. Ci sono, ovunque, imbecilli di successo che a Vjazemskij strappano questa riflessione: «non mi è mai capitato di invidiare le persone intelligenti: l'invidia mi assale soltanto alla vista della stupidità felice». C'è il conte cornificato dalla bruttissima moglie che si rivolge al responsabile del misfatto, un suo aiutante di campo: «vista la situazione chiederò per voi la spada di San Giorgio al coraggio». E un vecchio dongiovanni dice a una ragazza che sfoglia una rosa mangiandone i petali: «Non sapevo che foste una cannibale». E due contadini sono convinti che Alessandro II e Napoleone si sono incontrati su una zattera affinché il russo (ortodosso) possa battezzare il francese, «infedele anticristo». E il principe condannato agli arresti domiciliari nelle sue terre vaga per mezza Russia: «non riesco a trovarle, chiedo informazioni a tutti e nessuno mi sa rispondere».
Insomma, il sorriso abbonda sugli occhi del lettore. Al quale lettore, tuttavia, una volta il sorriso scompare, leggendo questa citazione dello zar Alessandro I.
Parlando di Napoleone con sua sorella Marija Pavlovna, prima del 1812, disse, in francese: «Non c'è posto per noi in Europa: presto o tardi, l'uno o l'altro dovrà ritirarsi». Oggi qualcuno pare pensarla allo stesso modo.
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