"The woman in black" è la trasposizione cinematografica di un romanzo di Susan Hill del 1982 che ha avuto un tale successo da vantare già adattamenti teatrali, televisivi e addirittura radiofonici. Prodotto dalla storica Hammer Film Production, icona per gli amanti dei vari Frankenstein e Dracula, rappresenta il tentativo di questa casa di produzione inglese di tornare in auge dopo due decenni di inattività.
Siamo nell’Inghilterra vittoriana. Arthur Kipps (Daniel Radcliffe) è un giovane avvocato londinese, padre e vedovo, che per lavoro si trova a soggiornare in una sperduta quanto diroccata villa, rimasta disabitata a seguito della morte della proprietaria. Accolto con somma diffidenza dalla gente dell’attiguo villaggio, scopre ben presto che alla tenuta sono legate una serie di morti incomprensibili ed il fantasma di una donna in nero, il cui desiderio di vendetta sembra essere immortale.
Nei pregi come nei difetti, è un film che assomiglia a molti altri, da “The ring” a “The Others”.
Le suggestioni alla Edgar Allan Poe saranno pure ingredienti tradizionali imprescindibili, ma rendono l’opera un excursus di tutti i luoghi comuni del cinema gotico quando non un vero tour de force dei più sfruttati e risaputi trucchetti di genere. Insomma la più classica delle ghost story, che non offre alcuna variazione sul tema della casa infestata, ossia lo spunto narrativo più scontato, ed ha nella prevedibilità il suo maggior difetto.
Bisogna però dire che se le ovvietà si sprecano, sono pur sempre messe in scena con stile. La regia ha infatti qualche invenzione visiva di pregio, come il movimento di luci riflesse negli sguardi vitrei di alcune vecchie bambole. Inoltre, sapiente e curata è la scelta del set: una striscia di terra fuori dal mondo eternamente avvolta da un senso di minaccia che, tra nebbia e palude, mantiene isolata la villa; davvero di innegabile fascino ed effetto.
Forse si è puntato troppo sulla star, pensando di conquistare ben più ampio pubblico di quello riservato ad un classico soft horror. Peccato che il fatto di togliere occhialini e cicatrice con saetta non bastino a rendere Radcliffe altro da Harry Potter. Non ancora almeno. E non si tratta di mancanza di talento; quanto dell’azzardata scelta di non discostarsi troppo da quella presenza fantasma che è appunto Potter per Radcliffe.
Sbagliato scegliere come primo ruolo di rottura un personaggio che dista solo a metà da quello che si vorrebbe far dimenticare: il tema soprannaturale gioca a favore di un passato troppo grande e troppo radicato nell’immaginario collettivo.Il giovane Daniel ha ancora da esorcizzare fantasma ben più impegnativo di una signora vittoriana vestita di nero; meglio sarebbe in futuro tentare di farlo in una ambientazione ostile a troppo facili assonanze.
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