Massimiliano Parente
Immaginate un'apocalisse zombi che si diffonda attraverso la rete dei cellulari: io di sicuro non saprei resistere a lungo, e sarei tra le prime vittime, toglietemi tutto ma non il wifi. Mentre Clayton Riddell si salverebbe, perché è uno di quei pochi rimasti a non usare il telefonino. Questa è la storia di Cell, film appena uscito di Tod Williams, tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King (in uscita una nuova edizione di Sperling & Kupfer).
Un romanzo densissimo e zombissimo uscito subito dopo uno dei tanti momenti in cui King era a corto di idee e aveva annunciato di non voler scrivere più. Cosa che invece da noi non fa mai nessuno, né annunciano né smettono (purtroppo), e magari i cosiddetti critici si permettono pure di considerare uno come King letteratura di serie b, o comunque di genere. Quelli che ogni tre secondi nominano Pasolini o Sanguineti e li ritrovi a discutere di poesia senza accorgersi che gli zombi sono loro. In ogni caso, di genere un cavolo, King fonda il suo genere e lì resta, inesauribile, prolifico, inarrestabile perfino quando un furgone lo investe riducendolo a un mucchio di fratture multiple, proprio mentre usciva un suo romanzo intitolato, per caso, Mucchio d'ossa.
King piuttosto è paragonabile a un Dickens con le ossessioni di Poe e Lovecraft, e It, per esempio, è uno dei più profondi romanzi sull'infanzia mai scritti. Ma anche in Cell c'è tanta carne al fuoco, soprattutto tanta carne umana impazzita per essersi esposta a un misterioso impulso che trasforma una persona normale in un automa furioso, violento e sanguinario: un «cellulato». Con descrizioni dettagliatissime di cervelli spappolati, gole azzannate, arti tagliati, supermercati e centri commerciali deserti, alla Romero, e aerei di linea che si schiantano senza controllo. E la marcia del protagonista per ritrovare la moglie e il figlio (nel post-apocalittico ci si muove sempre per ritrovare un proprio caro, altrimenti si resterebbe dove si è). Comunque sia se uno diventa un cellulato c'è poco da fare: o scappare, o ucciderlo. Come si uccidono in genere gli zombi da sempre: a mazzate in testa.
Certo, se fosse stato un romanzo di Michael Crichton avremmo saputo molto di più sulla natura di questo impulso, avremmo avuto dati tecnici e fantascientifici quasi credibili, ma a King questo non interessa, lui viene dal soprannaturale, dal paranormale, dai confini della realtà, dagli incubi più horror, la credibilità non gli interessa. E d'altra parte, cosa resterebbe di un capolavoro come Shining (di King, in primis, ma anche capolavoro di Stanley Kubrick) se dovessimo vincolarlo al credibile?
Molti lettori kinghiani hanno criticato Cell perché è il solito genere apocalittico in chiave tecno-zombi (o perché ricorda troppo il suo precedente L'ombra dello scorpione), ma è uscito nel 2006, quando il successo di serie tv come The Walking Dead era di là da venire, mentre King ha intuito che gli zombi (come i vampiri) non muoiono mai, e infatti dopo dieci anni Cell diventa un film, con John Cusack e Samuel Lee Jackson.
Tra l'altro, a differenza di tutti i libri e film di zombi, nei quali nessuno ha mai visto un film sugli zombi (e questo sì è davvero poco credibile), qui un agente della polizia, di fronte alla città nel caos e ai cellulati che azzannano superstiti, esclama: «Sembra di stare in una cazzo di Notte dei morti viventi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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