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Lo spettro Boko Haram sulle elezioni in Nigeria

Sfida tra il presidente uscente, il cristiano Jonathan, e il musulmano Buhari. Chiunque vinca dovrà affrontare le violenze islamiste

Lo spettro Boko Haram sulle elezioni in Nigeria

Tra sospetti, insidie e paure, su tutti lo spauracchio degli attentati terroristici, oggioltre 100 milioni di nigeriani andranno alle urne per decidere chi guiderà la prima potenza economica africana per i prossimi quattro anni. Una gara dell'esito incerto tra il presidente uscente il cristiano Goodluck Ebele Jonathan, 58 anni, e il musulmano Muhammadu Buhari, 73 anni. Volto non proprio nuovissimo visto che fu a capo di un giunta militare dall'83 all'85.

Chiunque vinca dovrà affrontare le contraddizioni (guerra civile, contrapposizioni religiose e tribali, inquinamento) di questa grande nazione: 900mila chilometri quadrati, prima nel continente per abitanti, 180 milioni, e prodotto interno lordo. Anche, nonostante tutti i suoi mali, però, la Nigeria non appare in condizioni così disastrose. Girando il Paese infatti si nota tanta povertà ma non miseria: non si vedono persone malnutrite o bimbi con la pancia gonfia. E la tante auto nuove sulle sue trafficatissime strade, indicano come un certo benessere si stia faticosamente diffondendo. Anche se il Paese deve fronteggiare gravi emergenze come la guerriglia di Boko Haram e la caduta del prezzo del petrolio, di cui la Nigeria è ricchissima.

Un Paese non facile da governare, come molti usciti dalla decolonizzazione, quando i confini vennero tirati con il righello, senza preoccuparsi tanto di passare sopra unità etniche e tribali. Con il governo alla prese con una difficile unità nazionale. Sia dal punto di vista politico e amministrativo perché nei villaggi dell'interno, e qui per interno si intendono 50 chilometri dalle grandi città, molte tribù riconoscono ancora il loro re. Con cui l'autorità centrale è costretta a continue mediazioni. Sia dal punto di vista giuridico perché i musulmani, quasi la metà della popolazione, possono ricusare codici e tribunali laici, pretendendo di farsi giudicare con la shari'a da quelli religiosi.

Ma il problema principale per la Nigeria rimane Boko Haram, letteralmente "l'istruzione occidentale è proibita", radicato al nord est musulmano, l'area più povera del Paese. Qui l'unica ricchezza sono le bambine da vendere a facoltosi mariti mentre i maschietti non valgono nulla e spesso sono abbandonati in tenera età per le strade. L'unica rete di assistenza è stata finora costituita dalle organizzazione islamiche a cui in molti si sono rivolti per aiuti e sostegni. Senza andare tanto per il sottile sul modo con cui l'organizzazione si procurava i finanziamenti: furti, rapine, sequestri di persona, traffico di armi, droga ed esseri umani. Non è stato facile per la Nigeria contrastare il fenomeno perché il territorio in cui operava Boko Haram era vasto e coperto da una giungla impenetrabile. E perché a ogni offensiva delle forze armate nigeriane, i "bokoniani" si ritiravano in Camerum, Ciad e Niger, dove potevano contare su una rete di solidarietà tribale. Un'organizzazione che per anni ha commesso ogni sorte di atrocità, soprattutto contro le popolazioni cristiane, con chiese bruciate e fedeli massacrati. Senza risparmiare neppure i musulmani se considerati non abbastanza osservanti. Fino a quando i Paesi confinanti si sono accorti del pericolo.

Niger e Ciad hanno raccolto l'invito a creare una forza multinazionale, mentre il Camerum ha sigillato le frontiere. Le recenti offensive hanno permesso di liberare molti villaggi e catturare, o uccidere, molti ribelli e ora lo Stato maggiore nigeriano conta di distruggere le ultime resistenze in poche settimane. Anche se messo sulla difensiva Boko Haram, continua tuttavia a seminare morte, distruzione e paura e il rischio attentati rimane alto, non solo nel nord est. E questo spiega la militarizzazione delle città e di tutti i luoghi di culto. In tutto questo si inserisce il dramma di circa 300 ragazze rapite l'anno scorso, la cui sorte ha commosso il mondo intero. Su questo punto i generali nigeriani sono molto più cauti: molte le voci sulla loro sorte ma nessuna certezza sulla loro fine.

Oltre alla guerra civile al nord, la Nigeria ha dovuto registrare anche il duro contraccolpo della crisi del petrolio (il 20 per cento del Pil, il 95 delle esportazioni e il 65 delle entrate governative) sceso a 55 dollari al barile. Con grave imbarazzo del presidente uscente Jonathan che ora sta cercando di spendere, oltre ai successi della campagna militare nel nord, alcuni buoni risultati del suo governo. Per esempio in campo dell'emancipazione femmine. Colpisce, già arrivando all'aeroporto internazionale della capitale Abuja, il numero di donne dietro agli sportelli. Donne a cui è affidata una parte importante della ripresa del Paese, grazie anche ad appositi sostegni alla cooperazione femminile. Importante sono anche gli investimenti nel campo dell'istruzione, gratuita fino all'università: 14 atenei che accolgono mezzo milione di studenti, un terzo ragazze. Pochissimi se raffrontati ai 180 milioni di abitanti e infatti Jonathan conta di arrivare presto a un milione e mezzo con un obiettivo finale di ben cinque milioni.

Basterà tutto questo a garantirgli un secondo mandato? Difficile dirlo, perché non poche sono le contestazioni a lui e al suo Partito Democratico Popolare, formazione di centro destra. La corruzione prima di tutto, poi l'inquinamento causato dalle grandi compagnie petrolifere ma soprattutto la mancanza alternanza cristiano-musulmano alla guida del Governo, prevista da una sorta di costituzione non scritta. A favore di Jonathan potrebbe giocare la non trasparente figura di Muhammadu Buhari, ex generale golpista, ora è a capo del Congresso per il Cambiamento Progressista, ufficialmente partito di «sinistra». Ma anche in politica i «confini» sono molto labili perché quel che conta è l'appartenenza religiosa, con il Pdp tendenzialmente cristiano e il Ccp musulmano, etnica, tribale e linguistica. I nigeriani parlano ben 250 tra lingue e dialetti diversi, tanto da dover usare l'inglese, per altro lingua ufficiale, anche per le chiacchiere di tutti i giorni.

Tutte rivolte ora a chi vincerà le prossime elezioni.

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