Magistratura

La «spia» che ha tradito Fiorani nello studio dell'avvocato Rossi

I primi passi della vicenda: un funzionario della Popolare di Lodi rivelò ai legali della controparte i segreti della scalata all’Antonveneta

Gianluigi Nuzzi

da Milano

Come in ogni inchiesta dirompente che si rispetti nel nostro Paese anche quella sulla scalata della Lodi di Gianpiero Fiorani ad Antonveneta ha un grande mistero. Ma come è nata? Qualcuno lo sa? A far scatenare questo terremoto con il 40 per cento di Antonveneta finito nella cassaforte del Tribunale, il Cda padovano che cambia ogni 15 giorni, Bankitalia che trema, è stato un signore rimasto, incredibilmente, senza nome. Insomma, un anonimo, un mister X.
Vediamo la versione più conosciuta. Si è scritto in mille salse che questa indagine nasce infatti dopo un esposto firmato dall’avvocato Mario Zacchetti, legale che lavora nello studio del professor Federico Stella, amico di Guido Rossi. Zacchetti il 28 aprile scorso aveva bussato in Procura, al pm Eugenio Fusco, depositando un dossier alto una spanna. Ma c’è un retroscena conosciuto da pochi. Zacchetti due giorni prima di andare in procura, e quindi il 26 aprile, aveva avuto un incontro con questo mister X che gli passa informazioni, carte e documenti. L’incontro avviene nello studio del professor Guido Rossi, consulente legale di Abn Amro, controparte della Lodi proprio nella scalata ad Antoveneta. Rossi e Zacchetti chiacchierano del più e del meno quando si materializzano in ufficio due persone. Zacchetti non le conosce. Uno è Alessandro Daffinà, dirigente della Banca Rothschild, advisor di Abn Amro nella scalata veneta, l’altro è appunto mister X il quale, udite udite, è nientemeno che un funzionario della Popolare di Lodi. Insomma questo mister X va dalla controparte e svela un segreto dell’istituto di credito. Senza un’emozione rivela che presso Bpl erano stati accesi nell’ultimo mese 18 conti correnti intestati ad altrettante persone fisiche alle quali erano stati concessi finanziamenti per 545 milioni di euro a tassi particolarmente bassi. Con quei soldi i 18 hanno poi acquistato azioni Antonveneta. Rossi e Zacchetti lo ascoltano attentissimi. Daffinà meno. Lui la storia già l’ha sentita. Poi mister X apre la valigetta ed estrae una lettera interna della banca lodigiana, nella quale Giuseppe Delmiglio, responsabile dell’unità preposta alle segnalazioni istituzionali, indicava le 18 operazioni di finanziamento. Zacchetti chiede copia dell’atto interno di Bpl e torna nel suo studio. Tempo nemmeno 48 ore e va in Procura con un esposto su una presunta operazione di aggiotaggio. È la miccia dell’indagine che in tre mesi ha ribaltato le sorti di Antonventa. Zacchetti chiede l’intervento della magistratura. Ma sia Fusco sia Francesco Greco sono prudenti. Anche perché di lì a due giorni si riuniva a Padova l’assemblea per la nomina del consiglio d’amministrazione.
In questo caso si può dire con certezza che l’esposto di Zacchetti non resta in giacenza nemmeno un minuto. Lo stesso giorno, il 28 aprile, viene sentito come testimone Daffinà. Che ammette, dice sì è vero mister X mi ha raccontato questa storia della Lodi e l’ho portato da Guido Rossi. Ma scusi, gli devono aver chiesto gli inquirenti, chi è questo mister X? Risposta: non lo dico nemmeno se mi incriminate.
A questo punto i Pm sono a un bivio. Che fare? Si incrimina per reticenza Daffinà o si cerca di scavalcare il problema. Si sceglie la seconda ipotesi. Già il 29 aprile, infatti, viene interrogato Del Miglio che conferma di essere l’autore dello scritto e racconta la storia dei 18 conti correnti e dei finanziamenti erogati «senza peraltro la prestazione delle dovute garanzie - scrive la Forleo - e con generiche motivazioni: “operazioni mobiliari o immobiliari”, “investimenti di carattere finanziario”, “operazioni finanziarie”, “investimenti in immobili”». Ma mister X? Dimenticato o, se preferite, superato. Dall’altra le prime attività degli investigatori, alla vigilia dell’assemblea Antonveneta in Lodi ad acquisire atti, mette nervosismo. Ma ormai l’inchiesta macina a pieno ritmo. In procura pochi sanno, tra i giornalisti pochissimi avvertono la portata di quanto sta per avvenire. Gli interrogatori avvengono quasi tutti negli uffici della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza in piazzetta Umanitaria. Un palazzo lontano qualche centinaio di metri dal Tribunale, lontano dai riflettori. Il palazzo dove in quella lunghissima giornata nel dicembre del 2003 un attonito Calisto Tanzi varcò la soglia nel suo primo giorno da arrestato.
E mister X viene visto da taluni come una sorta di collega nemico di Fiorani il grande capo. Da altri come un coraggioso che ha deciso di portare tutto in Tribunale. Di certo almeno una dozzina di domande, forse importanti, rimangono come sospese, in attesa di cortese risposta. Eccone qualcuna: da cosa era mosso, mister X? Perché ha compiuto questo passo? Come ha ottenuto il documento che ha portato nello studio di Guido Rossi? Non si sa. Come ha conosciuto Daffinà, il dirigente della Banca Rothschild? Cosa lo ha portato a fidarsi di loro? Perché non è andato, direttamente, in prima persona, in Procura? Cosa, in altre parole, lo ha spinto a recarsi direttamente dalla controparte, a portare cartucce agli avversari impegnati nella battaglia più importante per la banca dove lavora o lavorava? Non si sa. Sono domande non da poco se si considerano gli effetti dell’indagine, le ripercussioni della stessa. Non perché conoscendo le risposte le cose sarebbero andate diversamente. Ma perché proprio queste risposte aiuterebbero tutti a non avere dubbi, retropensieri, magari interessati, magari di parte, ma in qualche modo giustificabili. Chi è mister X?
gianluigi.

nuzzi@ilgiornale.it

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