Sandro Gamba, 83 anni, la storia vincente del basket italiano, butta via il bastone e mette le mani sul televisore urlando «forza Italia». Gli è piaciuta la squadra di Pianigiani nella tonnara di Berlino, anche se la chiusura in maschera, la sconfitta indolore (82-101) contro i serbi, i suoi rivali di sempre, gli ha mandato di traverso una parte del sogno: «Non era importante ma, accidenti, tutto è importante, certo dovevamo riprendere fiato dopo la bellissima partita contro la Spagna e quella durissima, ma significativa, per battere i tedeschi al supplementare, anche se alla loro età non capisco la parola stanchezza dopo qualche partita».
Per vedere Azzurra lo Spartacus di via Washington ha tenuto magari come porta fortuna la giacca che si indossa quando entri nella casa della gloria di Spingfield, anche se lui ha sempre creduto nella forza mentale per la battaglia, mai negli amuleti per vincere scudetti, 10 da giocatore con Milano, poi da allenatore con Varese, due coppe campioni, con la Nazionale, argento olimpico 1980, tre medaglie europee, il primo oro della storia moderna nel 1983 a Nantes, in Francia che potrebbe anche portarci bene nell'arena del rugby di Lilla.
Caro Gamba anche lei ha cambiato idea sulla nazionale partita balbettando?
«Io ci credevo, non capivo certe cose, ma poi mi ha coinvolto e ho fatto un tifo da ragazzino insieme alla Stella (la moglie). Ho riscoperto il tifo, per la Nazionale ho sempre sofferto volentieri. Certo partenza più difficile del previsto, ma c'erano cose da sistemare, perché è la testa che dirige tutto. Sublimi contro la Spagna, ma il tormento era quella con i tedeschi con quel Schroeder che scappava da tutte le parti. Abbiamo trovato l'intensità giusta, il carattere. Era una bufala quella dei problemi di adattamento dei ragazzi Nba con i nostri».
C'è qualcosa in questa nazionale di basket che ricorda quella di Nantes?
«Tutto e niente, certo la strada per andare avanti è stata dura per loro come per noi e la chiave, allora, fu proprio la vittoria sulla Spagna e sugli slavi. Diciamo che questo Gallinari è fantastico, lo considero fra i cinque italiani di sempre, un Meneghin molto moderno. Bravo Belinelli a trovare i momenti chiave, mi è piaciuto anche Bargnani che non è uno di pietra, ma si sbatte e rende. La squadra c'è e sono convinto che Gentile possa crescere ancora. Peccato l'incidente a Datome. Anche la coppia dei "registi" Cinciarini ed Hackett sta migliorando molto, e lo dice uno che aveva in squadra un genio come Marzorati. Diciamo che la nostra difesa a Limoges e Nantes era più dura, c'è necessità di piantare gli artigli nel tagliafuori, evitare le prime penetrazioni. Hanno il leader in Gallinari, se gli vanno dietro niente sarà impossibile».
Si può sognare di rivincere in Francia dopo la sua Italia e quella di Tanjevic
del '99?«Si deve sognare, ma anche pensare e dare tutto. La formula è un trappolone, sbagli la partita e ti trovi fuori dal giro medaglie, ma io dico che quando ti riconosci come gruppo sono gli altri a dover avere paura».
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