Londra - E ora lasceranno in pace la storia. Basta rimuginare col passato, struggersi nei ricordi in bianco e nero. Come se dal 1936 ad oggi non fosse successo nulla. Come se il tempo emotivo di una nazione non avanzasse più. E ogni anno portasse solo un nuovo supplizio. Ci voleva un giorno perfetto per spezzare il sortilegio. Una domenica di sole. Che sarebbe stato davvero un peccato sprecare. Una domenica nel segno del sette.
Il 7 luglio, ovvero il settimo mese dell'anno. Dopo 77 anni da Fred Perry, senza dimenticare Virginia Wade edizione 1977. Così all'improvviso l'insostenibile attesa si è tramutata prima in tripudio popolare, poi in generale sollievo. Un gigantesco sospiro di liberazione. Un'intera nazione grata al ragazzo della storia (copy The Times). Entrato in tutte le case del Regno 12 milioni i telespettatori della finale in media, con punte di 18 (share oltre il 75%) durante una partita di tennis. La 127/esima finale dei Championships. Un match - come un appuntamento con la storia - che Andy Murray ha vinto, contro il numero uno al mondo, Novak Djokovic. Il primo britannico a vincere il torneo di casa dai tempi di Perry.
Una vittoria che sa di riscatto per chi si vanta di aver codificato le regole del tennis (sull'erba). Una vittoria che ha fatto schizzare in alto l'indice di popolarità dello scozzese. Che dalle 17,24 (ora locale) è precipitato nel tourbillon del circo mediatico, rimbalzando sui social network, seguito dagli obiettivi come ora vivesse in un Grande Fratello. Da tre giorni giornali, radio e tv sono invasi di servizi, speciali, interviste, documentari, fotografie di Andy. In ginocchio, piangente sul Centre Court, in smoking abbracciato ai genitori durante il tradizionale ballo dei vincitori, a passeggio con la ragazza Kim, durante un'impegno con lo sponsor. Si è addormentato, ed era Andy. Si è svegliato come Beckham. Così ora gli sponsor se lo contendono a peso d'oro, e c'è già chi ha calcolato in più di 100 milioni di euro i guadagni nei prossimi anni. Poi c'è la politica, che lo strattona per i soliti calcoli elettorali. Domenica in tribuna erano presente il governo (con il premier David Cameron), l'opposizione (Ed Miliband), e anche il Primo ministro scozzese, Alex Salmond, che ha cavalcato il momento con tanto di sventolio della bandiera scozzese in vista del referendum 2014 per l'indipendenza.
Pronta replica del Premier, che ha invitato il neo-campione a Downing Street, candidandolo per il titolo di Sir. «Non riesco ad immaginare uno che lo meriti più di lui», ha cinguettato Cameron. E chissà se non sarà stato contento nel leggere il New York Times che, sbagliando il titolo, ha scritto: «Dopo 77 anni Murray e l'Inghilterra dominano». Perché Murray è di Dunblane, un piccolo paesino salito funestamente agli onori delle cronache per una strage in una scuola. La scuola di Andy, uscitone incolume e che sognava il trionfo sui prati dell'All England Club anche per cancellare il triste accostamento. C'è riuscito, alla settima partecipazione a Wimbledon (ancora il numero 7). E ora, al secondo Slam in carriera (e alla quarta finale Slam consecutiva, a Parigi non c'era), ha ottenuto anche quella consacrazione che i più ostinati critici (non pochi, soprattutto tra i connazionali) gli negavano.
John McEnroe prevede che vincerà almeno sei Slam, lui esclude che possa arrivare in doppia cifra. Ivan Lendl, il suo coach, fondamentale nel trasformare un campione di talento in un fuoriclasse, lo aspetta al varco.
Perché tra poche settimane a New York dovrà difendere il titolo vinto lo scorso anno. Ma questa è una pressione diversa, individuale. Che sente solo lui. Quella soffocante della storia, trasmessa da un'intera nazione, è stata scacciata via.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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