Sport

Addio Haller, giocoliere venuto dal freddo

L’ex centrocampista e nazionale tedesco si è spento ieri a 73 anni. Giocò con Bologna e Juve. Inghilterra-Germania ’66: "Voi avete rubato la partita, io il pallone"

Addio Haller, giocoliere venuto dal freddo

In Germania i fantasisti hanno sempre avuto vita molto dura, la Bundesliga oltre ad essere uno dei campionati più belli e competitivi in assoluto, fino a quel punto aveva sempre visto privilegiare squadre atletiche, muscolari e pratiche. Il bel gioco da quelle parti passava quasi sempre dal gesto sobrio, portato senza orpelli, sintesi di forza e perfezione. Fino a quando arrivò Helmut Haller.

Nato ad Augsburg, in Germania, il 21 luglio 1939, è morto ieri all'ospedale della sua città stroncato da una crisi cardiaca che l'aveva colpito nel giorno di Santo Stefano di sei anni fa e dalla quale non si era più ripreso. Ai giovani che non l'hanno mai visto giocare, va detto chi e cos'era quel «numero 10» biondorosso, tedesco per caso poiché per carattere e arte tecnica stava in bilico tra il napoletano e il sudamericano.

Quando ai Mondiali cileni del 1962 Helmut, giovanissimo, mise in vetrina la capacità d'inventare calcio come se disporre di un pallone e governarlo d'istinto a livelli straordinari fosse esercizio elementare, i teatri del football internazionale lo notarono con dichiarato interesse. Ma il primo che seppe anticipare una possibile concorrenza e aste che di certo non amava, contando le lire a una a una, fu il leggendario presidente Renato Dall'Ara, l'omino miliardario che sempre indossava un lungo paletot cammello e che di quel grande Bologna era molto più che il dirigente responsabile: il dio e la macchietta. E infatti, quando di persona e in macchina andò ad acquistare Haller ad Augsburg, convocò una conferenza stampa che fu molto breve. Comunicò che «ho preso una mezz'ala che vale tre Sivori».

Quella gente, quei tempi che oggi paiono il parto di una favola tennero a battesimo l'Haller italiano. La mezz'ala di punta traccagnotta eppure raffinata, nata per vedere il gioco e per tradurlo sul campo tra finte in velocità e suggerimenti e incursioni personali da gol, era capitata, tra l'altro, a suonare nell'orchestra rossoblu diretta da uno dei più spregiudicati ed eleganti allenatori che io abbia conosciuto e frequentato: Fulvio Bernardini. E dunque lo scudetto che il «tedesco di Rio» conquistò con il Bologna nel 1964 era firmato da questo quintetto d'attacco: Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti. Esclamò Bernardini : «Così si gioca soltanto in paradiso».

Non c'è dubbio che Helmut disponesse delle qualità, talora difficilmente analizzabili, di un fuoriclasse che in sé è insindacabile essendo un prototipo. Ma forse è anche vero, se si rintracciano certe beghe d'epoca, che Helmut aveva un punto di forza che era anche di debolezza: sua moglie Waltraud. La quale idolatrava il marito curandone con ferreo rigore teutonico l'immagine e gli interessi e che, si disse allora, lo convinse a lasciare il Bologna dopo la stagione 1967-'68. E quindi il giocoliere venuto dal freddo si trasferì alla Juventus per 400 milioni (cifra astronomica) vincendo in bianconero due scudetti nel 1972 e nel 1973. Era sempre e ancora lui, in apparenza. Però l'Haller da scoprire, da adorare nel panorama del neopaganesimo calcistico, era rimasto quello di Bologna e quello che nell'intermezzo del Mondiale inglese del 1966 (fatale all'Italia per l'inciampo sulla Corea) fu protagonista di un episodio tutto suo.

Si ricorderà che nella finale di Wembley l'Inghilterra battè la Germania ai supplementari per 4-2, anche grazie al gol fantasma più famoso della storia. Ebbene a fine partita Haller, che aveva segnato il primo gol tedesco, fece sparire il pallone pare rispondendo all'inglese che gliene chiedeva conto: «Voi avete rubato la partita, io il pallone». La restituzione del «maltolto» sarebbe avvenuta, narrano certe cronache, una trentina d'anni dopo.

Helmut ora ha raggiunto gli ultimi grandi che se ne sono andati: da John Charles a Omar Sivori... è finita un'altra storia.

Ne rimane intatta la traccia.

Commenti