Fernando Alonso è triste, «ho bisogno di fermarmi, di pensare, di pregare» dice. Martin Whitmarsh boss McLaren è triste, «il suo esempio travalica lo sport» dice. Monisha Kaltenborn, donna team principal Sauber è triste, «da lei ho imparato tanto sulla vita, in lei non c'erano esitazioni» dice. La F1 commemora con tatto, ma sbrigativa come sempre, l'incredibile e tragica vicenda sportiva e umana di Maria de Villota, la giovane pilota spagnola trovata morta ieri mattina in una stanza d'albergo a Siviglia. Tatto sbrigativo che non è figlio di un cinismo gratuito, più semplicemente appartiene al dna del Circus. A cromosomi motoristici scolpiti in decenni di tragedie compiute e tragedie lambite. Per cui mentre altri passano oltre, la F1 di solito guarda subito oltre. Ma a contare di più ieri, oggi, non è la tristezza del Circus quanto lo sgomento e la vicinanza e la partecipazione di chi non sa o sapeva nulla di motori ma sapeva molto della voglia di vivere di questa bella spagnola bionda di 33 anni con un occhio solo e la benda da pirata sul viso.
Già, la pirata bionda. Che dai motori aveva ricevuto poche cose: un cognome neppure tanto celebre, quello di papà Emilio de Villota, scarso pilota a cavallo degli Ottanta; e la passione però, quella sì grande e immensa. Per il resto i motori le avevano dato solo delusioni o soddisfazioni sbiadite: gare nelle serie minori, l'arrivo in F1 ormai trentenne, il debutto come test driver per la Lotus e poi e soprattutto per un team scarsissimo: la Marussia. Sembra cinico sottolinearlo, forse è cinico, ma neppure il giorno di quel fottuto incidente in Inghilterra, luglio 2012, sulla pista di Duxford, nemmeno quel giorno ci fu qualcosa che, in fondo, rendesse meno cruda e inutile e grigio il suo dramma: sarebbe bastato un bel giro di pista, assaporare il sogno di un buon crono, di una staccata da brivido, qualcosa... Invece nulla di tutto ciò. Maria dopo il giro di installazione per dei noiosi test di aerodinamica, stava transitando a 60 all'ora nella disordinata corsia dei box, quando all'improvviso aveva perso il controllo andando a sbattere contro il portellone aperto di un rimorchio. Casco disintegrato, viso distrutto, la fronte maciullata, l'occhio destro perso, il sorriso deturpato («al risveglio ero terrorizzata»), i punti di sutura («tolte le bende, davanti allo specchio li vidi, erano 140, tutti neri, sembravano cuciti con corda di barca»), il coma, la bellezza violentata.
Dopo le solite frasi tristi di circostanza fotocopia di quelle elargite dal Circus ieri, anche allora di lei non si era più saputo nulla. Al massimo periodici aggiornamenti sul suo stato di salute. Silenzio fino a quella incredibile conferenza stampa, tre mesi dopo il dramma, che aveva presentato al mondo la Pirata bionda. Più sorridente di prima, inaspettatamente più bella di prima nonostante le operazioni di ricostruzione del cranio, della fronte e gli interventi plastici. Era come se Maria si fosse qualificata per un Gp e per quelli dopo, sempre in pole, vincendo ogni corsa e conquistando il campionato. Le attenzione del mondo erano finalmente per lei. Tutti l'avevano scoperta e subito amata. Alex Zanardi, anni prima, si era messo in piedi stupendo tutti e diventando un simbolo, un esempio. E così Maria. Col sorriso e la benda sull'occhio destro e quelle parole: «Ora ho solo un occhio ma forse percepisco più di prima...». Parole a cui sono seguiti incarichi come ambasciatrice per la sicurezza della Federazione internazionale e il libro «La vita è un dono». Quel libro. Doveva parlarne a Siviglia, era stata invitata a un dibattito su Quello che conta veramente. In attesa dei risultati ufficiali dell'autopsia, gli inquirenti puntano su qualche complicazione legata ai fortissimi mal di testa che la tormentavano. Escludono il suicidio. Perché «credo nel destino.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.