Max Allegri non è certo uomo di numeri e ancor meno di algoritmi. Gli interessano i rapporti personali e in particolare gli occhi, suoi naturalmente: cioè seguire tutti i giorni come lavorano e come si impegnano i giovanotti in casacca rossonera che hanno, rispetto all'Inter e al resto della concorrenza, molta gioventù che vuol dire inesperienza colmata parzialmente dal talento geometrico di Modric e dall'energia di cavallo pazzo Rabiot. E infatti i numeri in materia di derby di Milano, per Allegri, non sono poi così promettenti perché dopo un debutto incoraggiante (tre successi nei primi tre fra il 2010 e il 2011 compreso il trionfo nella Supercoppa estiva) la sequenza successiva (cinque sfide in totale) è stata appesantita da sconfitte (2) e risollevata appena da qualche pareggio (3). L'ultimo, 22 dicembre 2013, gli fu quasi fatale perché precedette il rocambolesco e storico viaggio a Reggio Emilia contro il Sassuolo (4 a 3, con lo scatenato Berardi protagonista) e di qui l'esonero preceduto dal famoso comunicato firmato Barbara Berlusconi con contemporanee dimissioni di Ariedo Braida.
Allegri non è tipo da consultare chissà quali altri dati e forse l'unico monito che può riservare ai suoi è fermo all'esperienza con la Roma. Allora l'incipit del Milan fu disastroso: Dybala e soci si costruirono e sciuparono almeno 4 golose occasioni da gol così costringendo l'allenatore a modificare il sistema di gioco in un 4-4-2, strillando come un'aquila per far capire a De Winter che doveva spostarsi sulla linea della difesa.
Contro l'Inter - questo il succo della sua lezione - se si dovessero ripetere le stesse amnesie e gli identici sfondoni difensivi, non ci sarebbe scampo dinanzi a Lautaro e Thuram. Ecco perchè più che i numeri, Max ha continuato a controllare gli umori dei suoi oltre che la salute dei veterani, indispensabili per la sfida più importante di fine anno.