Marcello Di Dio
Oggi alle 19 si accendono i riflettori sull'altra Europa, quella di «riserva» e meno prestigiosa, che mette in palio la Coppa proibita alle italiane. Il trofeo non approda nella bacheca di una squadra di casa nostra dal 1999, quando la manifestazione si chiamava ancora coppa Uefa e il Parma di Alberto Malesani, Buffon, Cannavaro, Thuram e Crespo battè a Mosca il Marsiglia per 3-0. Da allora mai un'italiana in finale e solo otto in semifinale in 17 edizioni: due volte la Fiorentina, una Inter, Juventus, Lazio, Milan, Napoli e Parma. E con la denominazione Europa League (stagione 2009-10) solo i viola, i bianconeri e i partenopei sono arrivati a un passo dall'atto conclusivo.
Negli ultimi dieci anni hanno partecipato a questa competizione anche squadre meno blasonate come il Palermo (quattro presenze e un solo approdo agli ottavi), il Chievo, l'Empoli e il Livorno, che avevano conquistato posizioni importanti nella classifica di serie A. Ma anche con le big - con l'eccezione di due delle ultime tre edizioni - abbiamo snobbato la competizione, finendo così ai piedi del podio del ranking continentale e perdendo una rappresentante nella Champions. Il motivo principale: un eccessivo turnover applicato dagli allenatori anche perchè giocare di giovedì comporta avere meno ore di riposo e una preparazione sfalsata per le gare di campionato del weekend (pur avendo la possibilità - cosa che avviene solo in Italia - di giocare in posticipo il lunedì sera).
La riforma della Champions, prevista per il 2018, ci ridarà una squadra nel massimo torneo d'Europa e quindi accrescerà il divario con la Coppa minore. Anche se arrivare alla Friends Arena di Stoccolma, sede della finale il 24 maggio 2017, e vincere consegnerebbe un posto sicuro il prossimo anno nella «sorella» più prestigiosa e punti importanti per scalare le fasce del ranking e porterebbe nelle casse - almeno delle big - un tesoretto di 35-40 milioni, incassi compresi. Non certo le cifre della Champions, ma comunque un bottino appetibile per cercare di dare il massimo nella competizione.
Alla coppia di formazioni qualificate tramite il campionato (la Fiorentina, alla quarta partecipazione di fila, e l'Inter, tornata in Europa dopo un anno) si sono aggiunte il sorprendente Sassuolo, capace di superare due turni preliminari, e la Roma «retrocessa» dalla Champions a causa del tonfo con il Porto. Rischi cechi - Slovan Liberec, Viktoria Plzen e Sparta Praga - e austriaci - Austria e Rapid Vienna - per le nostre squadre, ma anche confronti con matricole (gli israeliani dell'Hapoel Bee'er Sheva e i romeni dell'Astra Giurgiu che hanno il presidente in galera per fondi neri) e con squadre più blasonate (i baschi dell'Athletic Bilbao che due anni fa negarono al Napoli l'accesso ai gironi di Champions o gli inglesi del Southampton separatisi da Pellè per... 39 milioni di motivi).
Ma ci sono anche il Qarabag, vincitore degli ultimi tre campionati azeri, vera e propria multinazionale, i greci del Paok Salonicco che hanno in rosa due giocatori di Capo Verde e i belgi del Genk con un giovane «velocista» giamaicano (Bailey, 19 anni). E in caso di passaggio del girone, salvo clamorose sorprese, i pericoli arriverebbero dal Manchester United di Mourinho, dal Villarreal, dallo Schalke 04, dallo Zenit ma anche dal Nizza di Mario Balotelli.
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