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"Amo la Samp, non posso allenare il Genoa"

Enrico Nicolini, vice storico del neotecnico dei grifoni Mandorlini, rifiuta l'ingaggio: "I soldi fanno comodo ma la coerenza non ha prezzo"

"Amo la Samp, non posso allenare il Genoa"

“Amo la Samp, non posso andare al Genoa. I soldi possono farti stare bene ma la coerenza alle proprie idee non ha prezzo”. Così Enrico Nicolini il secondo di Andrea Mandorlini, neotecnico del Genoa al posto di Juric silurato dopo la disfatta di Pescara, ha declinato l’incarico sulla sponda rossoblù di Genova. Il motivo? Da calciatore è stato una bandiera doriana, ai colori blucerchiati è sempre legatissimo. E di andare ad allenare, seppur come secondo, la squadra rivale non se l’è proprio sentita.

Nicolini ha affidato a un post su Facebook le ragioni che l’hanno portato a rifiutare il posto genoano. “Mio padre mi ha insegnato tra le tante cose il rispetto per la gente e l’amore per la Samp. Se fossi andato al Genoa avrei tradito i tifosi blucerchiati e mancato di rispetto al popolo rossoblù”. E infine ha aggiunto: “Penso che nella vita avere degli ideali conti ancora. Capisco che i soldi possano farti stare bene ma la coerenza alle proprie idee non ha prezzo”.

La decisione di Enrico Nicolini ha riscosso consensi unanimi in tutta la città, Genova ha abbandonato momentaneamente le contrapposizioni per il tecnico. I doriani hanno applaudito alla coerenza del loro ex beniamino, del “Netzer di Quezzi” come veniva chiamato da calciatore, quando era paragonato all’estroso tedesco di Gladbach “rivale” di Franz Beckenbauer nella Germania degli anni ’70. Anche i genoani hanno gradito la decisione del tecnico in seconda, e non per motivi di rivalità sportiva ma perché hanno rispettato la sincerità di Nicolini.

Da calciatore, Nicolini ha fatto tutta la trafila delle giovanili in casa Samp e ha indossato la maglia doriana dal 1972 fino al 1976. Poi indossò i colori di Ascoli, Bologna e Catanzaro.

Di lui si ricorda, tra le altre cose, un pregevolissimo gol durante una partita contro il Genoa quando dai venticinque metri, di destro, s’inventò una palombella che finì giusto all’incrocio dei pali, beffando il portiere.

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