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Astori, l'eredità già imbrattata e presa a sassate

Astori, l'eredità già imbrattata e presa a sassate

Una volta, ma anche due, ogni dieci anni, in Italia, qualcuno muore di calcio. E il calcio si ferma. Quasi tutti sono morti ammazzati: tifosi che uccidono tifosi, tifosi che uccidono poliziotti, poliziotti che uccidono tifosi. Due settimane fa il calcio si è fermato per la morte inaspettata di Davide Astori. Non l'abbiamo fatto solo per partecipare a un rito privo di senso o per sentirci parte una tantum di un insieme umano. L'abbiamo fatto per ricordare chi non c'è più e per cambiare chi resta. Noi. Davide Astori, un ragazzo di 31 anni, nella sua morte senza risposte, lasciava in eredità il suo carattere positivo, i suoi comportamenti esemplari, la sua correttezza, il suo rispetto per gli altri. Passata la commozione, dimenticato il santo, come, più o meno, dice il proverbio. Attorno al pallone si è assiepata la solita brutta gente, quella che usa le parole come oggetti contundenti e talvolta oggetti contundenti veri e propri.

Alla fine del derby Empoli-Fiorentina, torneo di Viareggio, è scoppiata un'accesa discussione tra i giocatori dell'Empoli e un gruppo di tifosi viola. Un ragazzo empolese è stato colpito allo zigomo da una bottiglia, o da un sasso, lanciata «da un tifoso della Fiorentina ancora non identificato». Nottetempo, a Milano, qualcuno aveva imbrattato il murale che celebrava i 110 anni dell'Inter. Un episodio grave e uno stupido, ma entrambi significativi. Quando il presidente della Lazio Claudio Lotito fu «intercettato» mentre diceva, recandosi alla Sinagoga di Roma dopo il caso degli atroci manifestini con Anna Frank in maglia giallorossa, «famo sta sceneggiata», affermava, ahinoi, un'agghiacciante verità. Non esistono commozione, vicinanza, partecipazione se non educano, se non trasmettono qualcosa. Non serve a niente fermarsi, piangere, commuoverci, applaudire, portare i fiori in Chiesa o in Sinagoga, se è solo un atto formale e non ci rende migliori. Le bestie sono ancora là fuori. Sono negli stadi italiani. Siamo noi. Non c'è differenza tra imbrattare un murale, insultare qualcuno, tirare una bottiglia, sparare a un tifoso. Perché tutte queste nascono dalla mancanza di rispetto nei confronti degli altri. Finché faremo dei distinguo non cambierà mai nulla.

E la prossima volta che accadrà un fatto tragico, faremo un'altra sceneggiata.

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