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Atlanta 1996. Chechi signore degli anelliGandola: «Un oro di sublime perfezione»

Trentadue anni dopo Menichelli un ginnasta italiano sale sul gradino più altro del podio nella ginnastica. Dopo quattro titoli mondiali agli anelli l’oro che vale una vita. Gandola: «ma il suo premio più ambito è stato un vaso di Nutella»

La vittoria di Juri Chechi alle Olimpiadi di Atlanta celebrata nelle pagine sportive del «Giornale»
La vittoria di Juri Chechi alle Olimpiadi di Atlanta celebrata nelle pagine sportive del «Giornale»

Juri Chechi, toscano di prato, classe 1969, è uno dei più grandi ginnasti della Storia dello sport italiano. Soprannominato il «Signore degli Anelli», ha dominato la specialità degli anelli negli anni novanta. Ha vinto la medaglia agli anelli alle Olimpiadi di Atlanta 1996, trentadue anni dopo la vittoria di Menichelli nel corpo libero alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. E così racconta il suo oro Giorgio Gandola sul «Giornale»..«È atterrato dentro un vaso di Nutella. Si è rotolato nel cioccolato per tutta la notte, operazione trasgressiva per un consigliere comunale. Ma a quel punto Yuri Chechi era finalmente libero da quelle manette mentali che sono gli anelli. A mezzanotte e un quarto, dopo 45 secondi di sublime perfezione dentro la cattedrale muta del Giorgia Dome, il piccolo italiano è diventato un uomo d’oro. L’esercizio quasi perfetto (9,887) i rivali a stringergli la mano, lo stadio rispettosamente in piedi, “l’Italia s’è desta” una vita per questo momento, la caviglia ingessata, le lacrime della fidanzata, il mento che trema, il lungo antidopingo “in una scala da zero a cento mi darei 96”. Ma Chechi si chiama Yuri, volle così il padre comunistone di Prato esaltato dal volo di Gagarin. E uno con un nome simile non può volare dentro il Luogo Comune, meglio fare splash nella Nutella. Gli pesava non aver vinto mai un’Olimpiade questo ragazzo di 27 anni nato a Prato e portato via dalla ginnastica sino a Varese con il consenso dei genitori, s’era convinto di essere un perseguitato. Nel chiuso di una palestra, in mezzo al sudore e alla polvere di magnesia, lui sapeva di essere il più forte ha cominciato quel sublime balletto con una cosa da contorsionisti battezzata dal nome voltabraccia frontale o di petto. Poi nell’aria del Giorgia Dome, era come se il silenzio portasse a lui, solo a lui, Chopin al pianoforte. (...)Con una medaglia d’orto al collo e un quintale di sonno nelle palpebre si può al massimo passeggiare per il parcheggio deserto di uno stadio vuoto, aspettando uno shuttle che lo riporti al villaggio.

E lì, nella penombra della stanza, si può aprire un vasetto di Nutella e infilarci il dito indice con voluttà da serial killer. Giorgio Gandola (30 luglio 1996)

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