Oggi l'Olimpiade è già accantonata: è bastato un virus per rispedirla a tempi migliori. Si spera. Ma allora, 40 anni fa, la sbarra calò il 24 maggio 1980: venne ufficializzato un destino annunciato da mesi di schermaglie e trattative. Ancora una volta i Giochi olimpici finivano sotto l'oscuro riflesso del boicottaggio. Un boicottaggio che ferì il mondo. Quattro anni prima, a Montreal, restarono a casa i Paesi africani: i cinque cerchi ne perdevano uno. Stavolta il mondo dello sport olimpico fu invischiato in una guerra politica, figlia del pericoloso braccio di ferro instaurato da Unione Sovietica e Stati Uniti. Due blocchi schierati per amore dello sport o per necessità di appartenenza politica, che i numeri tradussero con la presenza di 80 nazioni (oltre alla Liberia presente solo alla inaugurazione) e 60 rinunce. Gli Usa erano una delle quattro nazioni mai mancata ai Giochi. Con loro Germania ovest, Giappone e Canada, Norvegia primo Paese europeo ad aderire, Arabia Saudita, un pezzo di Africa.
I Giochi di Mosca dovevano far storia. Ma tutti avevano pensato ad un altro tipo di storia: prima volta in un Paese socialista, gran ritorno della Cina popolare, dopo 27 anni di assenza, grazie alla strategia di Juan Antonio Samaranch, sessantenne catalano, ricco collezionista di francobolli sportivi, destinato a subentrare a Lord Killanin alla presidenza del Cio. «Perforata la muraglia cinese» intonarono gli entusiasti sostenitori della universalità olimpica. La storia, invece, prese un'altra via allo scadere del 1979 quando, nella notte di Natale, i sovietici attuarono l'intervento armato in Afganistan e due giorni dopo si aggiunsero 100mila uomini, 1800 carri armati e 4000 aerei. Fu il via al Vietnam rosso, come lo definirono gli storici, e l'inizio della fine della quiete olimpica. Jimmy Carter scatenò la rappresaglia Usa, i giochi sotterranei della Cia fecero il resto. L'idea del boicottaggio poteva rafforzare la leadership del presidente in vista delle elezioni. Ma gli andò male: vinse Ronald Reagan. Il 12 aprile a Colorado Springs il comitato olimpico Usa votò il boicottaggio con 1604 voti favorevoli, 797 contrari, due astenuti. Annuncio velato da malinconia e commozione, precisando però «Se il presidente Carter darà il suo assenso o se entro il 24 maggio la situazione internazionale diventerà compatibile con l'interesse nazionale e la sicurezza del paese non sarà più minacciata, l'Usoc invierà gli atleti alla Olimpiade». Era quella la data limite per tutti: le mediazioni di Lord Killanin fallirono. Altri Paesi trovarono soluzioni creative per non urtare gli Usa. Il 19 maggio il governo italiano aderì al "no", lasciando però libera decisione al Coni, che il giorno dopo decise per il si ai Giochi: inviò atleti sotto la bandiera del Cio e scritta Coni, niente inno, nessuno alla sfilata d'apertura, rimasero a casa i militari.
Stratagemma imitato dagli inglesi, che vennero meno al no dettato dalla signora Thatcher. Olimpiadi senza gioia ma nemmeno vergogna, venne raccontato. Vinse chi c'era. Quattro anni dopo sovietici e Paesi consociati restituirono lo sgarbo.
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