
Nell'estate del duemila e sei, a Bonucci Leonardo venne consegnato lo scudetto. Quello ridetto di cartone dai tifosi bianconeri colpiti al fegato e al portafoglio. Il diciannovenne di Viterbo aveva infatti giocato l'ultima partita dell'Inter contro il Cagliari, Mancini gli aveva concesso l'onore, richiamando in panchina Solari. Il titolo andò alla Juventus, calciopoli cambiò il risultato del campo e l'Inter venne dichiarata campione d'Italia. Bonucci lasciò l'Inter. Probabilmente ha tra le sue medaglie anche quella, non credo di cartone. La storia si trascina da allora, tra insulti, striscioni, intercettazioni, tribunali, sentenze, insinuazioni. Trascorsi anni dieci, quasi, Leonardo Bonucci ha accumulato altri scudetti, quattro di fila ma con la maglia della Juventus e ieri sera ha ribadito il concetto realizzando un gol come un buon attaccante saprebbe fare.
Poi ha esibito il solito show, ruotando la mano attorno alla faccia, per lui sarebbe «sciacquatevi la bocca», non proprio un gesto raffinato, anzi indisponente, provocatorio. Ci fu il tempo in cui il ragazzo ebbe addirittura bisogno di un motivatore, detto anche mental coach per essere più sofisticati. Costui, Alberto Ferrarini, lo prese addirittura a pugni, nel buio di una cantina, cercando di scuoterne il carattere e le paure. I cazzotti fanno male ma servono, in alcuni casi ovviamente. Sono serviti al punto che Bonucci ha mollato il pugile psicologo e se la sfanga da solo, combattendo con le parole e con gli avversari. Ogni tanto combina guai, cerca il colpo di tacco ricordandosi di essere nato centrocampista, il gesto tecnico avviene in zona caldissima di difesa, Conte, prima e Allegri, dopo, per questo lo hanno travolto di strilli e insulti, Bonucci ha messo il muso e poi ha reagito come aveva imparato a fare nel buio della cantina. Questo è Bonucci Leonardo, non scrivo Leo perché ne esiste uno solo al mondo, por favor. Bonucci, dunque, o lo ami o lo odi, o lo consideri un grandissimo, stando alle parole di Pep Guardiola, o le ritieni uno che ha la fortuna di giocare accanto a Barzagli e a Chiellini. Ha imparato il mestiere, si fa per dire, del Ferrarini, è diventato lui il motivatore dello spogliatoio, è lui il leader della squadra adesso che sono partiti Pirlo e Tevez, è quello che scuote e incoraggia, lo fa anche per se stesso. Così aveva preparato la partita di ieri sera, come se fosse la sua partita personale. Lo si è capito al primo pallone giocato, alla prima corsa, al primo dribbling.