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Calciatore S.p.a. Quando Sarri & Co mandano negli spogliatoi un'azienda

Immagine, sponsor, dipendenti. Dietro alla reazione capricciosa del portoghese non c'era solo l'orgoglio del campione sostituito

Calciatore S.p.a. Quando Sarri & Co mandano negli spogliatoi un'azienda

Calciatori e allo stesso tempo aziende viventi. Esemplari unici, molto fortunati, capaci, talvolta, di impersonificare multinazionali che non conoscono il rosso dei bilanci. Tutto in capo a un singolo: fior di milioni fatturati ogni anno, sponsor che fanno la coda, investimenti nei settori più disparati, necessità di farsi una perenne pubblicità. E dietro a tutto questo si muove un intero entourage, di continuo alle dipendenze del Giocatore 2.0. Dietro alla recente furiosa uscita dal campo di Cristiano Ronaldo non c'è solo la smania di vincere ed essere decisivo, ma anche quella di continuare a vendere il proprio marchio, di innalzare a dismisura il proprio valore al fine di restare competitivo sul mercato. Non solo sul campo.

Un big del pallone vuol dire un marchio registrato, uno sponsor tecnico a vita, altre decine di accordi sottoscritti ogni anno e almeno una dozzina di persone impegnate dietro le quinte per seguire tutti gli interessi, a partire dagli investimenti. Perché la ricchezza lievita e le società non possono più farne a meno, dal momento che quel singolo in copertina gonfia l'indotto, attrae i tifosi, fa vendere magliette in ogni continente. Una cattedrale dorata costruita dal nulla, se si pensa che il primo impegno Messi lo prese con il Barcellona su un tovagliolo di carta, su intuizione dell'ex direttore sportivo blaugrana Carles Rexach. Da quel momento la linea dei ricavi si è impennata verso l'infinito, tanto che nel 2018 Forbes ha attribuito all'argentino un guadagno annuo di 98,5 milioni di euro. Nel calderone della felicità ci sono salari, premi, bonus, rendite e sponsor, come quello monstre che Cristiano Ronaldo si è portato a casa dalla Nike, azienda a cui si è legato a vita, un privilegio che hanno ottenuto solo Michael Jordan e LeBron James. Il portoghese vanta a suo nome una catena di alberghi, una di palestre perfino una clinica per trapianti di capelli. Sullo sfondo c'è sempre il potente procuratore Jorge Mendes, ma nelle retrovie si muovono due marketing manager, un addetto al marchio CR7, un nutrizionista, un fisioterapista e un altro gruppo di persone che bada ai social e alla comunicazione.

Più il calciatore spopola, in campo e fuori, più il piatto si arricchisce. Il discorso si può estendere a tutti i professionisti di livello, c'è un'onda da cavalcare e finché dura la carriera è bene approfittarne. Anche con gli investimenti più disparati, come l'azienda ittica destinata ad allevare e depurare i molluschi di Rino Gattuso oppure quella di Mathieu Flamini, che ha puntato forte sulla biochimica e l'economia sostenibile. Gerard Piqué con un fondo d'investimento si è addirittura preso la Coppa Davis di tennis.

Le frontiere non ci sono più, il calciatore di oggi lotta contro la forfora, veste l'intimo col proprio nome e va matto per la Nutella.

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