Sandro Mazzola l'aveva lanciata proprio sul Giornale giorni fa: «I calciatori si taglino il 5% dello stipendio per aiutare i club a fronteggiare le perdite derivanti dallo stop ai campionati». Proposta accolta e rilanciata 48 ore fa dal presidente della FIGC Gabriele Gravina, che ha evidenziato la necessità di decurtare gli emolumenti dei giocatori: «Non può essere tabù in tempi di emergenza: è un momento di crisi e siamo tutti chiamati a un gesto di grande responsabilità».
Parole però che non trovano terreno fertile nei protagonisti del pallone. Il vicepresidente dell'AIC, Umberto Calcagno, ieri ha smorzato: È prematuro parlare di tagli agli stipendi per i calciatori, non è un argomento all'ordine del giorno». Si rischia un'aspra battaglia tra presidenti e giocatori, con i primi che chiedono ai tesserati la rinuncia dell'ingaggio tra il 15 e il 30%, con la decurtazione del 30% a tutti coloro che guadagnano almeno 1,5 milioni lordi. In questo modo la Serie A punta a risparmiare 250 milioni di euro.
Ma è davvero possibile? L'abbiamo chiesto al presidente di AvvocatiCalcio, in passato agente di tanti campioni (Vialli, Del Piero, Bierhoff e Gattuso) e storico legale dell'AIC, Claudio Pasqualin: «Ci sono due aspetti da considerare, quello legale e quello sindacale. Per quanto riguarda il primo il contratto di lavoro dei calciatori è sinallagmatico, cioè a prestazioni corrispettive. Legittimo da parte dei presidenti non pagare in assenza di una prestazione, ovvero delle partite, ma in questo caso chi dovrebbe fornire la prestazione lavorativa sottolinea come ciò non avvenga non per volontà diretta bensì per causa di forza maggiore». Un escamotage per prendere tempo, in attesa di un accordo, c'è: «Mettere in ferie i tesserati. I calciatori da contratto collettivo hanno diritto a 4 settimane e le date vengono decise dai club che possono anticipare ora le vacanze canoniche di giugno, così da giocare in estate».
Per quanto riguarda l'aspetto sindacale il distinguo sui tagli agli stipendi è da fare in base alle categorie: «I calciatori - spiega Pasqualin - non possono restare aprioristicamente fuori dalla crisi economica che sta investendo il calcio e giustificherebbe un taglio ai loro emolumenti. L'AIC deve predisporsi a ragionare su questo piano per la Serie A, ma non per la C dove un calciatore guadagna in media 2mila euro al mese. Se gli tagliano il 30% dell'ingaggio va in seria difficoltà a fine mese.
In Lega Pro dovrebbe intervenire la cassa di integrazione, ma chi la paga? Serve un sacrificio da parte di tutti per il bene dell'intero sistema in cui convivono. Altrimenti diversi club potrebbero rischiare il fallimento: molte società di A oggi si reggono con lo sputo grazie a plusvalenze immaginifiche e diritti TV. I mancati incassi possono essere letali».
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