Caso Sinner, non è finita. La Wada prende tempo: rischia trofei e numero 1

"Il caso Sinner è finito". "No, abbiamo ancora tempo per l'appello". Caos antidoping, con il sospetto che si voglia punire Jannik per forza

Caso Sinner, non è finita. La Wada prende tempo: rischia trofei e numero 1
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L'impressione, a questo punto, e che la ricerca sia quella del pelo nell'uovo, solo che per trovare qualcosa l'uovo non dovrebbe essere strapazzato. La vicenda Clostebol-Sinner era finita, anzi no non lo è, e insomma la confusione regna sovrana, generata da un ente antidoping, la Wada, che dovrebbe essere garante delle regole.

Riassumendo: uscita il 15 agosto la sentenza di assoluzione di Jannik dall'accusa di aver assunto un farmaco proibito nella dose di un miliardesimo di grammo, l'ente sovrano in materia aveva 21 giorni per presentare appello. Quindi il termine sarebbe stato il 6 settembre, in pieno UsOpen, ma aldilà di un «stiamo monitorando» non si è riusciti a sapere altro. Arrivati poi al giorno prefissato si è sparsa la voce che il termine sarebbe stato prorogato a lunedì 9 (senza spiegazioni, se non che Sinner stava veleggiando verso la vittoria e gli organizzatori americani forse non avrebbero gradito), e tra l'altro rumors sostenevano pure che sarebbe arrivata una richiesta di sospensione del numero uno del mondo. Ieri mattina, come previsto, la notizia, ma in realtà il giallo continua: il termine è scaduto, nessun appello, dice il TAS di Losanna che avrebbe dovuto riceverlo; e invece no, risponde la Wada attraverso la sua segreteria: la decisione è ancora «ongoing» grazie un cavillo di una norma, la 13.2.3.5, che consente a lei e solo a lei di spostare il limite a partire da quando sono stati ricevuti i chiarimenti richiesti all'ITIA, l'ente terzo che regola le indagini di doping nel tennis. Domanda: quando sono stati ricevuti? Risposta del portavoce James Fitzgerald: «La settimana scorsa». Così, più o meno, a spanne.

«Sono assolutamente tranquillo che non c'è nulla», dice il presidente Fitp Binaghi, però capirete che a questo punto tutto può succedere: il caso Sinner ha una nuova scadenza, ma non si sa bene quando. E allora: non è che le critiche di chi si è lamentato del trattamento avuto dal trionfatore di New York abbia portato a un tentativo di rimediare alla frittata? Magari (anzi, senza magari) per poter sospendere il giocatore? Dietrologia, forse. Però fin qui abbiamo solo una risposta dell'ITIA: «In occasione di ogni udienza ci sono documenti aggiuntivi, come osservazioni, relazioni scientifiche e altre informazioni, che vengono prese in considerazione dal panel. Questo è ciò che la Wada richiede per considerare la propria posizione avendo tutte le informazioni». D'altro canto, c'è anche da rilevare che mai finora è stata appellata la sentenza di una delle unità di indagine indipendenti utilizzate dalle federazioni mondiali: sarebbe insomma una primizia. E questo dopo una decisione spiegata nei minimi dettagli in 33 pagine.

Per carità: la lotta al doping è sacrosanta. Eppure tanta severità non si è rilevata nel caso dei nuotatori cinesi trovati positivi a Tokio, ma poi assolti per «assunzione involontaria» e ammessi ai Giochi di Parigi.

L'Usada, l'antidoping americano, giusto lunedì ha emesso un duro comunicato contro i sospetti avanzati da un rapporto Wada su alcuni suoi atleti: «Nel nostro caso il 100% di chi ha partecipato alle Olimpiadi è stato testato, basterebbe leggere le carte per saperlo». Ecco, ora se ne aggiungono altre: qualcuno lo farà?

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