Lo scenario è a dir poco apocalittico: senza corse il ciclismo rischia il collasso. Non è una questione di punti di vista, è quello che purtroppo sta succedendo. Squadre che tagliano stipendi, e sullo sfondo c'è il timore più che concreto che chiudano bottega. Il sistema ciclismo è un mondo fragile, che ruota tutto attorno al Tour de France che da sempre la fa da padrone. Se si correrà la Grand Boucle, gran parte del movimento potrebbe salvarsi, se questo non dovesse accadere, lo smantellamento del World Tour la Champions League del ciclismo è quasi certo.
Intanto alcune squadre si sono già portate avanti con il lavoro, sforbiciando stipendi, licenziando personale o come per il caso dei team francesi ricorrendo alla cassa integrazione. Un taglio del 30% è già stato dato in casa Astana, la formazione kazaka che può vantare corridori del calibro di Jakub Fuglsang o degli italiani Fabio Felline e Manuele Boaro. Taglio del 70% per il Team Bahrain-McLaren di Mikel Landa, Mark Cavendish e dei nostri Sonny Colbrelli, Enrico Battaglin e Damiano Caruso. Ben più drastica la misura adottata dal team-manager americano della CCC Team Jim Ochowitz, che è arrivato a ridimensionare gli stipendi dei corridori dell'80% con atleti del calibro di Greg Van Avermaet, oro olimpico a Rio, così come per i nostri Matteo Trentin, Alessandro De Marchi, Jakub Mareczko e Fausto Masnada. Sforbiciate sono arrivate anche in casa della Lotto-Soudal, formazione belga di Philip Gilbert e Cabel Ewan.
In grave crisi anche e soprattutto l'australiana Mitchelton-Scott, dei gemelli britannici Adam e Simon Yates, del colombiano Esteban Chaves e dei nostri Edoardo Affini e Alexander Konychev. «Così non si può più andare avanti - ha spiegato Alvaro Crespi, 65enne ex corridore professionista e attualmente financial manager del team -. I costi sono elevati e le squadre non hanno alcuna fonte di finanziamento: vivono solo con i soldi dello sponsor. Se questi vanno in crisi, per noi è la fine».
Un sistema fragile, dicevamo. Tour-centrico, l'unico a fare davvero business in un mondo nel quale i diritti televisivi sono appannaggio solo degli organizzatori delle grandi corse e il botteghino non esiste. «Questa tragedia dovrebbe portarci a ridiscutere tutto il sistema ciclismo, che da anni fa acqua da tutte le parti prosegue Crespi -. Magari ridiscutendo l'annoso problema della distribuzione dei diritti tv o cominciando a far pagare il pubblico, come sta già facendo per esempio il Giro delle Fiandre in alcuni tratti del percorso».
Bisogna far presto e bene, non c'è altro tempo da perdere. «Se quest'anno non si disputeranno i Grandi Giri - ipotizza Crespi -, nel 2021 su 19 squadre World Tour ne potrebbero sopravvivere massimo 5 o 6.
Come vedo il futuro? Non bene, temo lo scenario peggiore: sei squadre di club e i Grandi Giri che per avere una partecipazione adeguata allargano alle squadre nazionali, come negli Anni Cinquanta». Volevamo un ciclismo d'antan e un po' vintage, questo è un ritorno al futuro.
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