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Malagò, Totti e la Roma ai romani. Se gli arabi sono meglio degli americani

Malagò, Totti e la Roma ai romani. Se gli arabi sono meglio degli americani

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Se è vero che in Italia siamo brava gente ma non del tutto fessa, ecco intrecciarsi voci e speranze che vogliono i padroni americani del calcio nostro sull'uscio di casa. Viste le recenti vicende, ci sarebbe da pensare sia solo un bene: a Roma la dirigenza Friedkin non ha brillato negli anni, a Milano il Cardinale posizionato dal fondo Elliott convince sempre meno. E chi strizza l'occhio? Chi vuol aggiudicarsi il malloppo, se tale è? Gli arabi e i fondi a loro collegati: se ne parla per il Milan, ed ora per la Roma i cui padroni, accartocciato il santone portoghese, non godono più di estrema simpatia. Stavolta lancia l'amo Dagospia, sebbene la dirigenza romanista abbia subito smentito. Però l'idea che gli arabi vengano in aiuto, dopo aver mollato l'elemosina (copyright Sarri) con la Supercoppa, dimostra quanto il nostro pallone sia in balia dei venti e dei danari. Oggi c'è da risollevare lo spirito di una tifoseria che in Mourinho aveva individuato un brand per sortire dal tifo rionale. Dunque l'idea è di mettere la Roma in mano ai romanisti: ovvero Giovanni Malagò, attuale numero uno del Coni, presidente del club e l'imperdibile Francesco Totti suo vice. Così romanità e romanismo sarebbero garantiti. Non altrettanto risultati e acquisti di valore, che poi sono il segreto vincente di ogni squadra. Ma la domanda è altra: perché Malagò, destinato a proseguire la brillante carriera nel Cio, se non ad un altro mandato Coni, dovrebbe accettare? Nei club conta chi mette i soldi, non chi vive di una etichetta. Non serve un presidente bandiera. Meglio pensare che gli arabi vogliano solo liberarci da affaristi Usa scarsamente competenti nel pallone.

Anche questa è politica.

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