Oltre ad essere l'unica atleta azzurra ad aver fatto parte della Nazionale di tre differenti Federazioni (atletica, ciclismo, bob), Antonella Bellutti è l'unica ad aver gareggiato sia alle Olimpiadi estive che in quelle invernali e potrebbe essere la prima donna ad andare a ricoprire la carica di Presidente del Coni che dal 1914 anno di fondazione - è stata sempre occupata solo e soltanto da uomini. A Milano, il 13 maggio prossimo, la Bellutti nata a Bolzano 52 anni fa, due volte campionessa olimpica con gli ori nel ciclismo su pista ad Atlanta '96 (inseguimento) e Sydney 2000 (corsa a punti), sfiderà l'attuale presidente del Coni Giovanni Malagò, il quale ha già annunciato che almeno 4 membri su 13 saranno donne. «Però ad oggi su 44 federazioni sportive riconosciute dal Coni, non c'è nessuna presidente, solo uomini», ribatte immediatamente lei.
Il presidente Malagò, qualche giorno fa su Il Giornale, è stato molto carino nei suoi confronti, dicendo che è assolutamente contento che lei si sia candidata, «abbiamo un rapporto personale importante, da me sentirete solo cose positive».
«Mi fa molto piacere che Malagò mi stimi, ma soprattutto che percepisca la mia candidatura come un'occasione di crescita e confronto costruttivo per tutti. Ritengo che sia un segnale molto bello. Una cosa però la voglio dire: non partecipo per puro folclore, ma per vincere».
La vita è come andare in bicicletta?
«Direi proprio di sì, anche perché per restare in equilibrio bisogna muoversi. Io sono cresciuta con un allenatore (Claudio Andrea Vantini, ndr) che credeva tantissimo nel valore della polivalenza e nella multidisciplinarietà, questo rappresenta un vocabolario motorio enorme che è la base da cui si può partire per costruire il vertice della propria piramide prestativa. La mia storia sportiva parla di questo».
Oltre ad aver gareggiato per tre Federazioni, qualche anno fa lei è stata anche nominata tecnico della pista, sia maschile che femminile, ma presto sono arrivate le sue dimissioni: perché?
«Fui nominata informalmente direttrice tecnica della pista, ma poi a quell'incarico non è mai seguito un regolare contratto. Quindi mi trovai a lavorare per svariati mesi senza tutele e di fronte alle mie richieste di regolarizzare la posizione, sono stata costretta a dare le dimissioni pubbliche, attraverso una lettera aperta che scrissi a Repubblica. In quel modo presi le distanze da un ruolo che non era mai stato realmente mio».
Dopo l'Olimpiade di Sydney, ha vissuto un periodo particolarmente buio.
«Fa riferimento ad un episodio bruttissimo. Il Corriere della Sera rivela che nel sangue di 61 atleti presenti a Sydney qualcosa non va. Sono scioccata, capisco il dramma vissuto da Enzo Tortora e mi riaffiorano le sue parole: io non sono innocente, sono estranea. Non mi ammazzo perché potrebbe sembrare un'ammissione di colpa. Finisco nel buco nero della depressione e solo l'amore della mia famiglia mi ha portato in salvo. Per la cronaca: dopo dieci anni, un giudice ha dichiarato i fatti in questione insussistenti».
Oggi cosa fa?
«Vivo con la mia compagna (Viviana Maffei, ndr) ad Andogno, borgo di 38 abitanti adagiato nella parte meridionale delle Dolomiti del Brenta, in provincia di Trento. Abbiamo rimesso a nuovo l'antica casa dei miei nonni, trasformandola in un B&B vegano (Le itinerande)».
Nello sport, sempre più crescente è il problema della violenza sulle donne.
«È un riflesso di ciò che succede fuori, ma nel mondo sportivo è chiaramente molto più subdolo. Sappiamo che c'è ancora molto da fare e io sono pronta a fare la mia parte».
Nella sua esperienza sportiva, si è mai trovata al centro di atti di violenza, anche psicologico?
«Mi sono trovata in qualche situazione molto scomoda, dove sinceramente non è giusto che un'atleta si debba trovare».
Quegli atti non li considera violenza?
«Sì, li considero assolutamente tali».
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