Conte e l'utopia da bullo smontata in Champions. Ultima chiamata scudetto

Il tecnico senza mea culpa dopo l'eliminazione choc. Ha già rivisto il progetto tattico e in Italia...

Conte e l'utopia da bullo smontata in Champions. Ultima chiamata scudetto

È diventato perfino noioso l'hashtag Conteout: litania che si trascina nel tempo. Da troppo tempo. Segnale di un feeling mai cominciato. Anche se ormai, da noioso, si è trasformato in furioso: e Conte Antonio è diventato il centro di gravità di mugugno, malessere, nevrosi del mondo nerazzurro. Come dar torto? Da quando è arrivato ci ha azzeccato soltanto sulle richieste onerose: si trattasse del suo stipendio o dei giocatori da farsi acquistare. E qualcuno tecnicamente da maltrattare: ma qui contano anche le colpe del club. Con il mondo Inter non si è mai veramente piaciuto, non c'è stima reciproca. E non perché sia rimasto intimamente juventino. Bensì perché Conte è troppo innamorato di se stesso e del SuperIo.

L'orgoglio al di sopra di ogni sospetto e dispetto: dunque non può prendersi con un mondo che non vuole altro innamoramento che non sia quello per i colori suoi. In più, è stato furbo nel farsi pagare come fosse il Maradona della panchina, senza esserlo. Cacciarlo (Moratti lo avrebbe fatto oggi) prospetta un conto economico troppo salato. Voleva andarsene in estate, non c'è riuscito. E finora l'Inter ha solo pagato: 72 milioni lordi per tre stagioni, 10 milioni persi dalla eliminazione in Champions, 290 milioni per acquisti che interpretano il suo odi et amo. Sperando che il nostro conosca Catullo. Che non è un centrocampista danese.

Del resto Conte era arrivato a Milano come un Messia, aveva garantito di cancellare il tempo della pazza Inter. Obbiettivo fallito. Come spiegarlo? Colpa di tutti dice il nostro: arbitri, Var, avversari, ingiustizie, fatalità, sfortuna, malanni, società che non soddisfa negli acquisti: ma tra Hakimi e Lukaku siamo a 120 milioni solo di cartellino.

Nella elencazione mai un mea culpa, per dire incapacità di sfruttare al meglio i giocatori, di variare il gioco, di inventarsi quel piano B che Capello ha chiesto di conoscere subendone risposta da bulletto. Eccolo il problema: Conte pensa da bullo, risponde da bullo, ma crede di essere un professore. Se sbaglia lo dice solo a se stesso. E gli interisti sono ripiombati nello scoramento, dopo le illusioni perdute: un secondo posto, l'anno passato, che ora passa per impresa. Una finale di Europa league persa (dopo una figuraccia in Champions), quando tutti credevano di poterla vincere, com'è tipico dell'ambiente Inter che ricade sempre negli stessi errori.

Quest'anno il tecnico ha messo molto del suo con un progetto tattico utopistico. Si è ingrippato nelle vedute di mercato chiedendo giocatori bravi ma decadenti (Vidal decisivo al negativo contro il Real Madrid). Ha ritrovato lucidità per giocarsi il campionato. In Champions l'ultima partita gli è stata ancora fatale: anche per errori suoi. In Europa il pedigrèe è da nevrosi: due toppate in Europa league, 5 su 5 in Champions: fuori ai quarti, agli ottavi, due volte terzo nel girone. E quest'anno via da Champions ed Europa league: peggio che mai per l'Inter. Ultimi quando bastava un gol per restare in corsa.

La difficoltà a segnare il gol decisivo è stata una costante delle eliminazioni contiane. Ed ora non gli resta che piangere e vincere il campionato: non una necessità, un obbligo. Con un finale già scritto: arrivederci a forse mai.

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