C'è una bacheca, quella di Formello, che si è arricchita di tre trofei negli ultimi otto anni, che hanno segnato la dittatura juventina nel campionato di serie A. Ce n'è un'altra, dall'altra parte di Roma a Trigoria, che nello stesso periodo (quello della proprietà americana) - ma anche oltre - non ha dovuto aggiungere altri spazi. È la doppia faccia del calcio della Capitale, con la Lazio diventata specialista in trofei nazionali: quattro finali, due vittorie in Coppa Italia e tre finali con un successo nella Supercoppa. Solo i biancocelesti e il Napoli (più il Milan in quest'ultima) hanno spezzato lo strapotere juventino nei trofei di casa nostra. E nell'ultimo periodo di Allegri sulla panchina della Signora (cinque anni) solo Montella e Inzaghi sono riusciti a sgambettare i bianconeri.
Già, Simone Inzaghi, il tecnico formatosi nelle giovanili laziali e promosso poco più di tre anni fa alla guida della prima squadra. Il presidente Lotito lo ha sempre ritenuto il suo figlioccio e lui lo ha ricambiato con cinque trofei, tre con la Primavera, conquistati in sei anni. Dopo la vittoria con l'Atalanta che ha salvato la stagione biancoceleste con la conquista dei prossimi gironi di Europa League, la festa al ristorante con giocatori e staff della Lazio. E un fuorionda tra presidente e allenatore «rubato» da un cellulare in azione, finito poi in rete. «Gasperini l'ho mandato affanc...», così Lotito, dopo le esternazioni al veleno post finale dell'allenatore dell'Atalanta, a Simone Inzaghi che risponde: «Hai fatto bene».
La coppia potrebbe divorziare alla fine di questa stagione. Nonostante le rassicurazioni del patron di Formello («il futuro di Inzaghi non è stato mai in discussione»), al tecnico piacentino non sono andate giù le critiche durante l'annata per qualche scelta sbagliata. Le offerte non dovrebbero mancargli, sta a Lotito evitare la fine del rapporto con un tecnico che gli ha regalato tante soddisfazioni.
Soddisfazioni che invece mancano sulla sponda romanista da troppo tempo. Undici gli anni senza un trofeo alzato (l'ultimo il 24 maggio del 2008, la Coppa Italia con Spalletti in panchina strappata all'Inter versione pre Triplete). Poi solo illusioni e delusioni, nonostante il ritorno ai vertici della serie A con tre secondi e due terzi posti e persino una semifinale di Champions conquistata con Di Francesco. Fino al possibile flop di questa stagione, con il rischio di una qualificazione in Europa League solo con le forche caudine dei preliminari. I simboli romani ormai fuori dal campo (Totti ancora senza una precisa collocazione dirigenziale e l'ultimo caso De Rossi, di cui parliamo a fianco), tanti giovani bravi ma ancora da svezzare, qualche giocatore esperto che rischia di essere sacrificato sull'altare del bilancio che senza introiti Champions porta a inevitabili cessioni eccellenti, un nuovo allenatore da trovare per avviare l'ennesima restaurazione della squadra. Con un progetto tutto da scrivere anche dietro la scrivania, dove dopo l'addio di Monchi e la promozione di Massara potrebbe cambiare ancora qualche tassello.
Tifosi in fermento sulle due sponde capitoline: la parte calda di quelli laziali si è ancora una volta contraddistinta in negativo per i gravi incidenti avvenuti prima della finale di Coppa Italia (cinque arrestati, due vigili feriti e un'auto della polizia locale in fiamme), quelli romanisti in subbuglio per un'altra stagione a secco. Il tutto in una città che vive passionalmente le vicende del pallone, riducendole spesso a una rivalità da Raccordo Anulare.
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