In Europa inizia a soffiare sempre più forte il vento della ribellione verso la ripresa dei campionati. Un sentiment anti-calcio che caratterizza appassionati italiani e stranieri. Dal tifoso del bar a quello «professionista» come l'ultrà, cresce il grido di protesta. Con il mondo delle curve in prima fila sui social a urlare il no al ritorno del calcio giocato. E non sono escluse - qualora dal 4 maggio venga revocato il lockdown - possibili manifestazioni o gesti plateali. Negli ultimi giorni hanno fatto clamore in tal senso i post pubblicati dagli ultras di Atalanta (poi rimosso) e Genoa. Con migliaia di morti e città in ginocchio a causa del CoVid19, hanno scritto, come si può pensare di far ripartire il carrozzone pallonaro? E soprattutto perché destinare i tamponi, che sarebbero necessari per tante persone, ai calciatori? La questione - inutile negarlo - ha una rilevanza sociale non indifferente. Riflessioni ad alta voce fatte anche dal numero uno del Coni, Giovanni Malagò, e che hanno intercettato il pensiero di milioni di tifosi.
Attenzione però a non politicizzare le preoccupazioni degli ultras così come il j'accuse nei confronti della Figc e del sistema calcio. Con il conseguente rischio di contaminare il messaggio originario per finalità personali. In questi giorni gli esponenti delle varie curve stanno messaggiando tra loro sul tema ripartenza, con tifoserie rivali pronte ad allearsi in nome della salute. Tra le città più colpite ci sono, infatti, Bergamo e Brescia e - come già accaduto in alcune iniziative di solidarietà - sul fronte «no al campionato» le curve di Atalanta e Brescia potrebbero sostenersi. Difficile immaginare il normale ritorno ad allenamenti e partite in quelle zone, anche se Gasperini nei giorni scorsi aveva sostenuto il contrario, inneggiando al calcio come possibile fenomeno di distrazione dalla realtà. D'altronde il tecnico dei bergamaschi sogna di arrivare in fondo alla Champions (ha già centrato i quarti di finale) e bissare il quarto posto in campionato, difficile che potesse perorare la causa dello stop alla stagione 2019/20 proprio nell'anno migliore della sua carriera.
Non solo in Italia ma pure all'estero ha preso vita il partito del fermiamo i campionati. In Spagna ieri pomeriggio, con un comunicato, l'associazione che riunisce 37 sigle di tifosi ha stabilito che «deve essere il ministero della Sanità a decidere se far ripartire la Liga». Questo mentre in Germania la maggioranza dei tifosi ha votato contro la ripartenza della Bundesliga il 9 maggio, mentre le semifinali di Coppa, Bayern Monaco-Eintracht Francoforte e Saarbrücken-Bayer Leverkusen, sono state rinviate a data da destinarsi. Gli ultras tedeschi sono scesi in campo compatti, accantonando tifo e rivalità. I tifosi tedeschi vorrebbero che la Germania imitasse l'Olanda. L'Eredivisie, infatti, ha già concluso la stagione, non assegnando il titolo e utilizzando la classifica pre-Coronavirus per assegnare i piazzamenti alle coppe europee. La Bundesliga invece riparte per non perdere i 300 milioni di euro derivanti dai diritti tv, che garantiscono una fondamentale liquidità per i club.
Lo stesso film a cui stiamo assistendo in Italia. In prima linea a sostegno del ritorno immediato in campo Claudio Lotito: «Ripartire è indispensabile per non danneggiare l'industria calcio, che garantisce 1 miliardo e 200 milioni di gettito all'Erario».
E neppure l'immediata positività al CoVid19 di un calciatore del Mattersburg all'indomani della ripresa degli allenamenti o il primo giocatore in terapia intensiva a causa del virus, ovvero Junior Sambia del Montpellier, hanno scalfito le manovre dei politici del pallone. Ecco perché i moti di protesta degli ultras (sperando che siano assolutamente pacifici) rischiano di risultare inutili.
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