Le assemblee della Lega calcio, storicamente, sono in verità riunioni condominiali, con insulti, minacce, volgarità. Tra i migliori interpreti di questo rave italiano figura Lotito Claudio, presidente della Lazio, il quale, negli ultimi anni, direi i magnifici sette, non per la Lega visto il default, è stato al centro di qualunque vicenda, compresa la Nazionale con l'ospitata non richiesta in panchina, durante un allenamento con tanto di tuta azzurra, a fianco di Tavecchio Carlo suo sodale. Nulla di nuovo, prima di Lotito anche Moggi si agitava con uguale arroganza. Ma, negli ultimi tempi, Lotito non si limita a tenere il mazzo delle carte anche quando si gioca a dama. Ha alzato i toni, ha scazzottato con De Laurentiis e disprezza chi non è di pari grado, consiglieri, amministratori delegati, direttori generali. Questa la sua par condicio.
Nella riunione svoltasi venerdì, ha preso a male parole, prima, arrivando al contatto fisico, dopo, il Ceo juventino Beppe Marotta: «qua so' tutti dipendenti», è stato un passaggio del suo pensiero nobile, prima che Preziosi, presidente del Genoa e il suo assistente Perinetti, intervenissero per dividerlo da Marotta con infortunio al dito della mano di Preziosi, mentre urla e strilli volavano nell'austero(!) ambito. Tempo fa Lotito si era così espresso nei confronti del dirigente della Juventus: «Il problema è che non sa dove guarda, Marotta con un occhio gioca a biliardo e con l'altro mette i punti».
Marotta ha tentato di denunciare il presidente ma la richiesta, in base alla clausola compromissoria, è stata respinta dalla federcalcio, ormai ridotta a imago sine re, immagine senza sostanza. Ho usato il latino tanto caro al Lotito manesco e gli ricordo una frase di Seneca: alium silere quod voles, primus siles. Se vuoi che un altro taccia, sta zitto tu per primo. Ad majora.
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