
Nell'ora più buia dell'ultimo Milan, l'espressione più dura e realistica. Giorgio Furlani, ad rossonero, è andato davanti ai microfoni e ha sentenziato: «Condividiamo la delusione dei tifosi, è stata una stagione fallimentare». Subito dopo, le parole di Matteo Gabbia hanno spalancato al pubblico le porte dello spogliatoio a Roma: «In questo momento non abbiamo energia». È uscita a pezzi anche la squadra, oltre al club. Allora, per paradosso, la dolorosa sconfitta in coppa Italia, al cospetto di un Bologna costruito senza il budget rossonero ma ispirato da una governance calcistica affidabile e competente, può diventare una sorta di benedizione perché da oggi in poi non ci possono più essere soluzioni conservative né sarà praticabile una leggera correzione della rotta. No, deve cambiare il Milan per tornare a essere il vecchio Milan con un piano di rilancio che deve spazzare via le indecisioni, le insicurezze, i tentennamenti (sul ds) registrati fin qui.
I primi a capirlo sono stati proprio i tifosi che ieri mattina, alla stazione Termini, hanno incrociato Adriano Galliani, lo storico ad dei tempi belli e irripetibili di Silvio Berlusconi presidente. «Torna a darci una mano» gli hanno ripetuto ottenendo a mo' di reazione un malinconico sorriso. La curva poi, a cui le autorità romane hanno negato il permesso di tornare all'Olimpico (per il danneggiamento delle strutture dello stadio), ha colto al volo l'occasione per marcare il proprio distacco dall'avvilente prova della squadra («vi lasceremo soli dopo l'ultima prestazione indegna» la nota).
Gli errori, ripetuti, sono stati tanti e non si possono soltanto addebitare alla filosofia finanziaria del fondo perché anche l'Inter ha un fondo che ha lasciato però la guida tecnica a manager collaudati (Marotta e Ausilio). Piuttosto, da sempre il peccato originale, fu commesso dopo l'addio traumatico di Maldini e Massara: dovevano essere sostituiti al volo per dare credibilità a quell'evento traumatico, vissuto come un salto nel buio. Di qui i successivi flop con l'ingresso di Ibrahimovic che è andato a riempire il vuoto evidente fino ad allargarsi e a generare lo scontro istituzionale con Furlani (a causa degli incontri londinesi con i ds). Poi c'è l'aspetto calcistico che è un altro vero disastro perché il Milan è passato dal metodo di Fonseca dove regnava allegra anarchia - a quello rigido di Conceiçao ma senza offrire al gruppo squadra un copione calcistico. Tardiva anche la sostituzione della panchina, fatta quando ormai era compromesso il campionato, tranne la Champions la cui qualificazione fu alla portata e buttata in un cestino dei rifiuti tra Zagabria e Rotterdam. «La squadra ha mostrato poca personalità» la diagnosi di Fabio Capello.
In verità ha mostrato tutta la distanza chilometrica dal Bologna che ha uno spartito preciso, un palleggio studiato e ripetuto nelle esercitazioni, il comando del gioco già visto nella sfida di campionato venerdì scorso. Proprio l'epilogo di quella prova generale (dallo 0 a 1 al 3-1 finale) ha illuso i milanisti e magari lo stesso allenatore. Più la caduta del rendimento di alcuni esponenti come Pulisic, Fofana e Jovic.
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