Donato, un salto che vale triplo

Centra il bronzo, corona la carriera a 35 anni e risolleva l’atletica italiana. Greco quarto

Donato, un salto che vale triplo

nostro inviato a Londra
È bronzo, è vecchio, è felice, è lui la salvezza dell’Italatletica che fin qui aveva preso solo sberle in faccia e pu­gni a casa, pugni per altre ragioni, pu­gni per doping, marcia, tristezze va­rie. È bronzo, dopo il trionfo agli euro­pei di un mese fa, era Helsinki, era im­portante, non così importante. Fabri­zione Donato è bronzo nel salto tri­plo, bronzo che nell’atletica degli americani e dei russi e dei cubani e della Cina vale tanto e di più e questo senza svilire le medaglie delle altre di­scipline, ma suvvia, ci sarà un motivo se la chiamano la regina dei giochi. È bronzo, come in quell’ultima, lonta­na, volta a Città del Messico, anno 1968, Fabrizione neppure era nato, neppure era nei pensieri di mamma e papà mentre Giuseppe Gentile an­dava ad acchiappare il gradino basso del podio olimpico dopo aver fatto due record mondiali, in qualifica e in gara, due record ovviamente battuti perché fu un festival dei salti,dall’oro di mago Saneyev,dall’argento di fan­tasia Prudencio.
E allora godiamoci questo piccolo grande re che con il suo 17 e 48 si inchi­na solo all’americano Taylor (17.81) che si sapeva, campione del mondo in carica,in forma,giovane,poteva so­lo sbagliare e non ha sbagliato. Ap­plaudiamo il piccolo grande re che ci prova, comunque, esaltato, incita e si incita con gli applausi ritmati del­l’Olympic Stadium, e al sesto non gli riesce e va bene così, va bene lo stes­so, è bronzo dietro all’altro a stelle e strisce, Claye (17.62).
Aria fresca,aria sana,ci voleva,l’Ita­lia delle sberle in faccia è sulle spalle del ragazzone come la bandiera trico­lore in cui si avvolge Fabrizio un atti­mo dopo il trionfo. È storia, storia d’Italia. Dirà: «Un medaglia ottenuta con il lavoro, con dedizione, con amo­re. Perché non posso definirla soffe­renza, io mi diverto». È anche una ri­sposta indiretta alla «nausea» di Schwazer: «Il triplo è un gioco e tale deve rimanere. Se riesce bene e se non va, bene lo stesso. Ora voglio con­tinuare e coltivare altri sogni».
Però in questa notte di Donato è se­veramente vietato dimenticare il suo
compagno di nazionale e di stanza, il giovane discepolo Daniele Greco che assieme a Fabrizio ha trasforma­to per un­a sera quest’Italia che nell’at­letica non c’è, arranca, quasi non esi­ste, in un’armata dignitosa in pianta stabile sui due gradini del podio vir­tuale della prima fase che avrebbe poi spalancato ai tre devastanti balzi finali.Già,discepolo.Perché il puglie­se di Nar­dò ha qualcosina come tredi­ci anni di meno rispetto a laziale, qual­cosina che nella vita vuol dire molto e nel salto triplo vuol dire più di tutto perché le articolazioni si disintegra­no, perché le caviglie tremano, per­ché le ginocchia si sfaldano. Prova ne sia l’emozionante e però triste imma­gine del caraibico delle Bahamas, Sands, in barella con il ginocchio a pezzi. Prova ne sia lo stesso Greco, sfortunato, che s’acciacca al primo salto della finale e comunque ci pro­va e chiude quarto, dai.

«Se solo potessi», aveva scherzato l’altro giorno Roberto Pericoli, l’alle­natore di Donato che segue anche Greco affiancando nell’opera Rai­mondo Orsini, scherzando aveva det­to «se solo potessi farei un mix di en­trambi, di Daniele e Fabrizio, metten­do assieme, nell’atleta ideale, l’effi­cienza di uno e l’esperienza dell’al­tro... ».
In fondo è stato accontentato. Li ha visti uniti a lungo, hanno viaggiato as­sieme, subito bene Fabrizio 17,38, be­nino Daniele 16,90 che si farà perdo­nare con un 17 e 34 del sicuro passag­gio ai tre salti finali.

In progressione, sempre, il vecchio, il maestro, Dona­to, campione europeo e qui campio­ne di sopportazione, nel senso di do­lore, nel senso di fragilità e logorio e di età,nel senso di un’infiammazione al tendine d’Achille sinistro che però non gli ha impedito di migliorarsi, fi­no all’ultimo. E di farci sognare.

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