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E i social profanano lo spogliatoio

Sono il nemico. Macché rapporto più diretto coi beniamini. Ecco perché

E i social profanano lo spogliatoio

Uno dei più importanti assunti filosofici del secondo Novecento riguarda il tema della tecnica (o più comunemente tecnologia): l'uomo non è in grado di controllarla e, per usare le parole di Henry David Thoreau, diviene infine strumento dei suoi stessi strumenti.

Così è soprattutto per le nuove generazioni e quindi per i calciatori. Ecco perché non devono sorprendere le uscite social-sportive degli ultimi tempi: prima la diretta Twitch di Luis Alberto che, interpellato sull'aereo della Lazio, commenta: «Così tanti soldi spesi Per noi della squadra invece niente». Poi la storia Instagram del Papu Gomez che si rivolge direttamente ai tifosi atalantini, confessando: «Quando me ne andrò si saprà la verità di tutto».

Parole in libertà, magari anche non pesate e frutto dell'immediatezza via smartphone, che possono tuttavia creare dei veri e propri casi: tensioni societarie, crepe nell'ambiente, radio in rivolta; e ancora mugugni dei tifosi, insinuazioni giornalistiche, ipotesi di mercato. Insomma un semplice sfogo come quello di Luis Alberto anche se subito ritrattato, rigorosamente su Instagram rischia di destabilizzare un'intera squadra.

Noi stessi, fra morbosa curiosità e retorica livellante dell'uno vale uno, ci illudiamo di avere grazie ai social un rapporto più diretto con i nostri beniamini; di più, pretendiamo di conoscere le loro vite in una pornografia che trasforma il mistero in pettegolezzo, per citare Ennio Flaiano. Pensiamo anche alle telecamere negli spogliatoi: qui non solo il gossip profana l'ultimo luogo sacro del calcio, baluardo di legge naturale ancor prima che sociale, ma ne stravolge addirittura i riti. I giocatori ripresi nel loro habitat sembrano goffi animali braccati, e cedono a un imbarazzante silenzio amplificato dal tacchettare degli scarpini e da qualche strozzato urlo di incitamento.

Se però le telecamere sono una minaccia interna al codice non scritto dello spogliatoio, i social network sono un pericolo interno: e si sa, il nemico è sempre meglio averlo fuori le mura piuttosto che dentro. L'aspetto più inquietante è allora la naturalezza con cui i social riescono a minare l'armonia dello spogliatoio, un iper-luogo (come definito da Bruno Barba nel suo libro Un antropologo nel pallone) in cui «si crea l'anima della squadra e vige un realismo magico», «un contenitore di simboli con riti auto-referenziali e pseudo-religiosi».

Bastano un video, una storia o un cinguettio per destabilizzare un microcosmo che vive di norme e dinamiche antiche. L'incoscienza o la frustrazione di un momento per offrire al grande pubblico piccole beghe, poi ingigantite, che possono divenire travolgenti.

Anche per questo le nonne previdenti ci ammonivano: «I panni sporchi si lavano in famiglia».

O, come avrebbero detto i nostri mister, nello spogliatoio.

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