Ippocrate, ma non solo lui, aveva intravisto nel numero 7 qualcosa di magico, imprevedibile, inafferrabile. «Dispensatore di vita, di movimento, determinante nell'influenzare gli essere celesti». Difficile credere che anche quelli che il calcio avessero visto così lontano, ma il 7 di maglia che corre dietro ad un pallone dispensa brividi, funambolismo, astuzia, attrae la sensazione dell'imprevedibile. Nel pallone nostrano ci siamo cibati per decenni dei sette-bellezze. Nella vita anche di meglio: 7 le note musicali, 7 i mesi di 31 giorni, 7 i simboli usati per esprimere numeri romani, 7 i giorni della settimana, 7 i colori dell'arcobaleno. La lista è lunga, fin al limite dell'impensabile. Il 7 non sarà Anima mundi, come intendeva Platone, ma certamente sa dare anima ad una partita di calcio. Lo abbiamo riscoperto seguendo le scie di un colombiano, maglia Anima mundi venuto da Necoclì, vissuto a 400 km da Medellin, nota per altre storie, che sfiora ogni pallone con un sorriso sulle labbra, regala giocate border-line, interventi tra lo scivoloso e il pericoloso, ma ci regala l'esser bambini più che uggiosi professionisti, ci fa intravedere il guizzo che riapre un mondo laddove le gambe degli uomini paiono aver prodotto una selva. Forse non è un caso che mamma, appena fuor di pancia, l'abbia chiamato Juan Guillerme Cuadrado e, infine, Bello.
Bello vuol essere appellativo impegnativo, eppur l'idea ha lasciato il segno. Cuadrado è diventato il bello di ogni momento in cui la Juve si trae d'impicci, come nell'ultimo match con l'Inter a San Siro. Juan come One (assonanza del dire) o come SpecialJuan, idea da numero uno che il tipo non carezza con il carattere, ma riesuma nelle giocate. Attore poliedrico, con fantasia d'altri tempi: Causio? Il barone era più completo. Ha segnato una decina di gol nei suoi campionati bianconeri, tutti con il peso del valore, pronti a scolpire il momento: quella scivolata al minuto 93 di Torino-Juve (31 ottobre 2015), che valse il riavvio verso lo scudetto. La schioppettata a volo da 20 metri che ipnotizzò l'Inter nel febbraio 2017 e lui a scherzarci. «Di solito quei tiri li spedisco in curva». Il gol alla Sampdoria che rinfrancò la squadra. I salvataggi di quest'ultima stagione: la rete al Benevento prima di fermarsi per la pubalgia e ricomparire in campo dopo 96 giorni. Il suo quinto gol di testa (il primo alla Fiorentina), nella storia juventina: segnato al Milan, in marzo, per riportare la Juve a +4 sul Napoli. E l'ultimo guizzo, contro l'Inter, per dare il segnale della rimonta che ha portato la Signora nuovamente a +4. Non male anche in Champions: la rete, definita iconica, contro l'Olympique Lione e quella all'Olympiacos. Segna Cuadrado e la Juve vince: è una delle più gettonate statistiche. Maniaco del dribbling, anche un po' cascatore, è diventato essenziale uomo assist. Fece di tutto per arrivare alla Juve, tanto da inviare a Conte, che non voleva lasciarlo andare dal Chelsea, un sms degno di un centravanti di sfondamento. Costato 29 milioni, partito terzino nell'esperienza italiana e ora pronto a riprovarci, tramutato da Montella in seconda punta a Firenze, ha trovato collocazione su quella fascia che, in bianconero, è stata nazional-talvolta popolare.
Un po' di nomi: il leggendario Federico Munerati, Sernagiotto, Muccinelli, Nicolè, Stacchini, Mora, Causio, Damiani, Marocchino, Mauro, Favalli, Zigoni, Fanna, Di Livio, Zambrotta (poi retrocesso terzino), Camoranesi. Aggiungiamo Kurt Hamrin, uccellino svedese poi passato alla Fiorentina. Destino inverso a quello di SuperJuan. E la Juve mandi un bacione a Firenze.Strano, vero? Ma il calcio è paradosso.
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