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Felice Placido, quel magico "Farfallino" che faceva innamorare donne e uomini

Segnava con la grazia e il sorriso. Non era potente, ma elegante e preciso. Agnelli licenziò dei dirigenti che si erano invaghiti di lui

Felice Placido, quel magico "Farfallino" che faceva innamorare donne e uomini

Calciava a rete con la grazia e il divertimento che gli venivano dai nomi di battesimo: Felice Placido. Era Borel, detto II per distinguerlo dai parenti pure calciatori ma non di uguale censo. Giocava mezza punta e poi centravanti, segnando gol di eleganza, non potenti e violenti, i suoi tiri a rete, ma perfetti per balistica, perfidi per realizzazione, garantiti da quel piedino da fiaba, numero 36. Era asciutto nel fisico, anche fragile e questo gli costò molti, troppi infortuni muscolari. Impomatato nell'ondame dei capelli, alto ed elegante, piaceva alle madamine e madame torinesi ma anche a qualche monsù, tra questi alcuni consiglieri e tecnici della Juventus. Per evitare lo scandalo, Edoardo Agnelli presidente, licenziò le api e si tenne il miele.

Carlo Bergoglio, poi detto Carlìn, giornalista e direttore di Tuttosport, volle ribattezzarlo Farfallino, per come Felice agitasse le braccia, durante la corsa e i dribbling. Sembrava volare in modo leggiadro e, ovviamente, le voci si assommarono alle insinuazioni. La sua famiglia aveva un negozio chic di abbigliamento in piazza San Carlo, la madre una ditta di pizzi e merletti, dunque Felice Placido viveva una borghesia quieta, il football e la Juventus erano un passatempo giusto o, come avrebbe detto, con sarcasmo, Gianni Agnelli, l'avvocato, «qualcosa per la domenica». In verità Borel aveva incominciato la carriera al campo Filadelfia, con la maglia del Torino, grazie all'intuizione dell'austriaco Sturmer. Il barone Mazzonis (che, della Juventus era socio di denari pesantissimi quando il club si ritrovò carico di debiti, nel Ventotto la perdita della società era distribuita la metà a Edoardo Agnelli e l'altra a Mazzonis e, tre anni dopo, spartita in sedicesimi, tre ad Agnelli, tre al barone, due a Remmert, uno a Monateri, uno a Valerio, uno a Gaspare Bona, uno tra Tapparone, Fubini, Nizza e il conte Ghigo, tutti frequentatori del circolo bianconero) si rese conto, il Mazzonis, delle potenzialità del ragazzino, figlio di Ernesto che per quattro anni aveva giocato in bianconero, e lo traslocò al campo di via Marsiglia, sito Juventus. Borel frequentò il ginnasio e il liceo classico dai Salesiani a Torino, gli studi gli sarebbero stati utili quando decise di intraprendere la carriera di giornalista, alcuni articoli a sua firma apparvero su Il Campione, il settimanale di racconti di sport che esibiva Fusco, Zavattini, Pratolini, Comisso, Ghirelli. Restano i suoi numeri, 286 partite e 160 gol con la Juventus, prima di passare al Torino, per una sola stagione e altre cronache in giro per l'Italia, per dedicarsi al ruolo di allenatore, di talent scout (Boniperti) e poi di consigliere di Umberto Agnelli. A oggi è il più giovane capocannoniere della serie A, il suo record di 31 gol in bianconero (campionato 33-'34) può essere battuto da Cristiano Ronaldo. Questa è soltanto arida statistica da almanacco. La storia calda non si cancella con i dati di cronaca.

Felice Placido Borel riposa nel camposanto di Finale Ligure.

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