C'è qualcosa di meravigliosamente ironico nell'epilogo a cui si avviano le due massime serie motoristiche del mondo. La F1 e la MotoGp. La prima si è ormai da tempo trasformata nella trasposizione reale di una playstation con l'aggravante che l'adozione delle gomme con il timer e le ali mobili per i finti sorpassi l'ha resa più artificiale del videogioco gemellato. Non solo. Ora potrebbe incoronare il suo campione, campione per la quarta volta di fila, in un Paese, l'India, su una pista e davanti a un pubblico (nel caso ci fosse) a cui importa più o meno zero di questo sport. È come se gli U2 tenessero il concerto di chiusura del Tour mondiale in taverna. Per di più di una casa quasi disabitata e con quattro gatti che neppure li hanno mai ascoltati.
Già, quattro gatti. La seconda, la MotoGp, ha quest'anno camuffato il suo reale aspetto e stato di forma grazie al ritorno di Valentino nelle zone alte, non altissime però, e al contemporaneo sbocciare di prodigio Marquez. Per cui a tratti è sembrato un mondiale bello e combattuto. Ma non è così. È un campionato in cui hanno corso, appunto, quattro gatti. Nel vero senso della parola. Ci sono infatti le due Honda ufficiali di Marc Marquez e Daniel Pedrosa, le due Yamaha ufficiali di Jorge Lorenzo e Valentino Rossi, ci sarebbero anche le due Ducati ufficiali di Andrea Dovizioso e Nicky Hayden ma come noto da qualche stagione non sono granché in forma. Dopo di che, il vuoto. Corrono i team satellite, che fra le moto non sono satelliti lontani come le Toro Rosso dalle Red Bull, ma neppure sono delle Red Bull. Per cui a certi piloti è consentito qualche acuto di tappa e nulla più. E questo stendendo un velo pietoso sulle Crt, moto figlie di un dio minore costrette a correre per dar l'idea che la griglia sia piena e all'insegna dei costi sostenibili. Fatto sta, due categorie insieme. Come se le Gp2 riempissero la seconda metà della griglia di F1.
Le due serie si avviano a degno epilogo perché Vettel che a breve affiancherà Schumi e Fangio, ma a soli 26 anni e non a 32 e 45 come gli altri due, nell'olimpo di quelli che i titoli, quattro, li hanno conquistati di fila, Vettel avrebbe meritato ben altra cornice e ben altra F1 per evidenziare le sue grandi doti. Durante le libere di ieri faceva tristezza vedere lui e gli altri andare al rallentatore con le gomme purulenti di blistering e bolle sul battistrada. La Pirelli, dopo aver quest'anno incassato molte e meritate critiche minaccia ora e giustamente di andarsene se i team non si accorderanno per fare più test con monoposto consone (prima di quelli ufficiali di Jerez) in vista della nuova stagione turbo. Che avrà auto e meccaniche e prestazioni rivoluzionate. Brutta figura anche per la collega Bridgestone (e pure la Dunlop) nel motomondiale, sette giorni fa: Gp d'Australia accorciato e con pit stop per cambio moto (con gomme nuove) perché i polimeri mica duravano l'intera corsa. In uno di questi pit Marquez e il team Honda hanno sbagliato nello scegliere il giro di rientro e i giudici non se lo sono fatti ripetere: squalificati. Così un mondiale ormai chiuso è stato riaperto per la gioia di Lorenzo che non c'entra nulla e sta facendo cose grandi.
Brutta vicenda antipasto di quanto offerto ieri a Montegi, in Giappone, dove la nebbia ha impedito di far disputare le libere per motivi di sicurezza. Cioè i piloti ci vedevano ma non l'elicottero del pronto soccorso. Che per la cronaca neppure c'era. Perché la coltre era calata prima che arrivasse. E sembra che la nebbia resterà pure oggi. Nel caso, per domani, si sta studiando - e vien da ridere - di smontarlo, caricarlo su un tir e portarlo a Motegi all'alba.
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