"Garanzie o non si gioca". La rivolta di sette club fa tremare la Serie A

"Troppi rischi". E Spadafora gela la Figc: "Non è certa la ripartenza di allenamenti e partite"

"Garanzie o non si gioca". La rivolta di sette club fa tremare la Serie A

Almeno sei, forse sette club di serie A che chiedono garanzie dal punto di vista penale e patrimoniale alla Figc per la ripartenza, segnali poco incoraggianti dal governo su un eventuale via libera a maggio, il nuovo messaggio del numero uno dello sport Malagò, da tempo in forte contrasto con il mondo del calcio. Che ripone le sue speranze anche nel dettagliato protocollo con le linee guida per la prima fase degli allenamenti elaborate dalla commissione medica Figc.

Oggi andrà in scena un'importante assemblea della Lega di A: a margine del problema dei diritti tv («congelata» l'ultima rata che Sky e Dazn devono alle società, l'accordo potrebbe essere una dilazione di pagamento, ma intanto in una lettera il patron del Brescia Cellino «azzarda» una divisione in parti uguali della quota tra le 20 squadre se non si ripartirà e la classifica sarà azzerata...), c'è da affrontare quello della ripresa. Quali effetti giuridici potrebbero subire calciatori o club se il campionato si interrompesse di nuovo per un nuovo contagio da coronavirus? È uno dei tre quesiti messi sul piatto da alcuni club che dovrebbero essere Brescia, Cagliari, Spal, Torino, Sampdoria e Udinese (c'è un dubbio sul Bologna e sul Genoa) alla vigilia dell'assemblea di oggi. «L'assunzione del rischio di un fatto non più imprevedibile potrebbe ricadere sul club che si è assunto il rischio di prosecuzione pur in presenza di un rischio incalcolabile», sottolinea la nota dei club che chiedono alla Figc anche garanzie sui contratti in scadenza il 30 giugno e sui prestiti con diritto o obbligo di riscatto.

Intanto il consiglio di Lega ha confermato l'intenzione all'unanimità di portare a termine la stagione se le condizioni lo permetteranno, pur essendoci alcuni club medio-piccoli che vorrebbero lo stop. E a preoccupare il mondo del pallone, che domani incontrerà Spadafora in videoconferenza, sono anche i segnali negativi arrivati dal governo. «Oggi non do per certo né l'avvio del campionato né degli allenamenti il 4 maggio, se prima non esistono le condizioni per il Paese. Le società non si illudano anche se ripartiranno gli allenamenti», così il ministro dello sport. Qualche ora prima era toccato al collega della Salute Roberto Speranza: «Con più di 400 morti al giorno e una situazione sanitaria di questo tipo, il calcio è l'ultimo dei problemi. Dobbiamo mettere al centro la questione di salvare le vite». Secco anche il suo vice Sileri: «Come medico dico che comunque c'è un rischio a ripartire, e a proposito del protocollo, dico che potrebbero essere molti di più di 1.400 i tamponi che servirebbero».

Il messaggio del presidente del Coni Malagò, che sta lottando contro l'ostinazione del mondo del pallone a ripartire, chiude il cerchio: «Il calcio, che ho l'impressione sia la serie A, ha il diritto e il dovere di far riprendere la stagione, ma deve prevedere un'alternativa se la ripresa, per motivi facilmente comprensibili, non possa avvenire».

E intanto i calciatori rifiutano l'etichetta di privilegiati: «Vogliamo tornare a fare il nostro lavoro con le più ampie garanzie di sicurezza, senza usufruire di corsie preferenziali sui controlli medico sanitari». La strada verso la ripresa è ancora in salita.

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