Ohne Worte. Senza parole. Così titolava la Bild il 9 luglio 2014 dopo il 7-1 rifilato dalla Germania al Brasile nella semifinale del Mondiale 2018. Ieri quel titolo è ricomparso, ma per descrivere uno scenario radicalmente opposto. Mannschaft fuori al primo turno della coppa del mondo, evento che non si verificava dal 1938, quando però il Mondiale era strutturato in soli incontri a eliminazione diretta. L'autentica storica eliminazione Das historische AUS, come da titolo di Kicker per la Germania è però avvenuta sul suolo russo, scatenando un diluvio di polemiche e critiche più consone all'isterismo dei paesi mediterranei.
Ma è proprio la scarsa attitudine alla débâcle (8 semifinali consecutive raggiunte dal 2005, includendo anche la Confederations Cup) una delle chiavi di lettura per comprendere una reazione tanto scomposta. E' stato addirittura messo in discussione il modello tedesco, citato a più riprese dai paesi il cui mondo calcistico è da tempo in macerie (Italia in primis, ma anche Olanda), ma oggi sotto accusa per non essere riuscito a replicare gli elevati standard di qualità produttiva, a livello di giovani talenti, degli ultimi anni. Caso simbolo il Borussia Dortmund, il club per eccellenza quando si parla di modello tedesco: un solo giocatore nella rosa Mondiale, il 29enne Marco Reus. I giovani talenti? Si chiamano Dembele (quest'ultimo già ceduto), Pulisic, Sancho. Tutti stranieri. In Germania ci si chiede se il Mondiale 2014 sia stato frutto del famoso Talent Development Programme, oppure se la generazione d'oro derivi da una felice combinazione del destino, e pertanto bisogna armarsi di pazienza e attendere il prossimo giro. Insomma, i tedeschi non l'hanno presa bene. Probabilmente la furia iconoclasta è destinata a placarsi nelle settimane che verranno.
In tutti gli incontri del girone, la Germania ha fatto più tiri in porta degli avversari: 16-13 contro il Messico, 18-7 contro la Svezia, 28-12 contro la Corea del Sud. Oltre 50 occasioni da gol create per sole due reti realizzate, una delle quali su punizione. Ma la mancanza di organizzazione e, soprattutto, di spirito di squadra, ha però prevalso. Qualche scricchiolio si era già avvertito nei mesi precedenti il Mondiale: una sola vittoria (contro l'Arabia Saudita) in 6 partite, le polemiche per la foto di Gundogan e Özil con il premier turco Erdogan (quando mai si sono sentiti tifosi fischiare giocatori della Mannschaft?), le mancate convocazioni di Wagner e Sanè. Considerato il forte ego dei due, è facile che Löw non abbia voluto aggiungere tensioni a uno spogliatoio che già percepiva come poco unito.
Divisioni che la stampa tedesca ha portato a galla in Russia: da una parte il blocco dei campioni del mondo, dall'altro gli elementi del nuovo corso. L'aver parzialmente sconfessato la propria filosofia del giocano i più in forma non ha aiutato Löw.
Muller era reduce da una stagione modesta, Özil sembra aver già dato il meglio di sé, Neuer è rimasto in infermeria tutto l'anno (mentre il suo vice, Ter Stegen, arrivava da un'ottima stagione nel Barcellona). Tutti mattoni che, per dirla come i Pink Floyd, hanno contribuito a costruire il muro. La presunzione di chi è abituato a vincere lo ha completato. Fino a un finale da lasciare senza parole.
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