Se Ronaldo alza la testa sembra quella di Pelè

Nel giorno in cui il suo concorrente rivale di Liga, Lionel Messi dico, finisce nei titoli per una sporca storia di tasse evase, lui va in prima pagina per una storia di football, per quel colpo di testa che toglie l'incubo e la sofferenza della squadra lusitana

Se Ronaldo alza la testa sembra quella di Pelè

Un colpo di frusta. Nella sera di Lione. Cristiano Ronaldo, non il banale acronimo CR7, così va scritto e, poi, letto per intero; non servono, non bastano lettere e cifre, utili soltanto agli sponsor e a lui medesimo in sede di autografo. Serve invece, al Portogallo e al football, un campione che lucida le sue coppe e i suoi gol. E' oro vero, un pallone e il conto in banca, meritato perché se Cristiano è un prodotto tipico dello star system, lui ci ha messo il fiocco e acceso i riflettori per illuminare l'icona. Nel giorno in cui il suo concorrente rivale di Liga, Lionel Messi dico, finisce nei titoli per una sporca storia di tasse evase, lui va in prima pagina per una storia di football, per quel colpo di testa che toglie l'incubo e la sofferenza della squadra lusitana. Trattasi del terzo gol in questo torneo, quota lontana dal record del grande assente, Michel Platini, che all'Europeo francese dell'84, arrivò a fantastiche nove reti. Ma i gol vanno pesati, come le azioni in borsa, e quelli del fuoriclasse portoghese fanno saltare l'ago della bilancia. Gli basta un pallone vagante, un calcio di punizione, una sola e lui si presenta. Il gol, che ha sbloccato la sfida, ha fatto tornare alla mente il fotogramma di Italia-Brasile, Messico 1970. Pelé sale, si arrampica, monta sopra Tarcisio Burgnich e con la sua testa d'oro va a battere Ricky Albertosi, l'arbitro fischia la fine del primo tempo ma l'immagine è trionfale, di una potenza colossale ed elegante. Così Cristiano sul corpo possente di Chester, castrum latino rivisto in lingua inglese, un accampamento devastato dal tuono portoghese. Dieci metri più in là, Gareth Bale, collega a Madrid, nemmeno stupito ma desolato perché costretto ad accettare la realtà del più forte. La vittoria di un Cristiano, la firma di Ronaldo, diverso da quello originale brasiliano, professionista maniacale il portoghese, cultore del corpo e della sanità rispetto alla vita spericolata del Ronaldo che fu, a Madrid, Barcellona, Milano.

Ma non è il tempo dei paragoni, il Portogallo se ne va in finale come gli capitò dodici anni fa, in casa sua.

Stavolta non ci sarà una cenerentola a rovinargli la festa, stavolta gli toccherà fare i conti con tedeschi o francesi, roba tosta che ha già portato a casa il trofeo del vecchio continente. Un motivo in più per alzare la testa. Se è quella di Cristiano.

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