
Che l'azzurro sia la seconda pelle di Rino Gattuso, come dice il presidente Gravina, è fuori di dubbio. Il problema è vedere come l'ex milanista riuscirà a proteggere questa sua pelle azzurra, senza rischiare di scottarsi con una panchina che brucia. La scelta di Gattuso, infatti, si porta dietro tante perplessità, non tanto e non solo legate alle qualità del tecnico. Perché sicuramente Ringhio sarà capace di portare in squadra quel sacro fuoco invocato dallo stesso Buffon, con la speranza del presidente federale di ricreare il clima che portò al trionfo di Berlino 2006. Ma allora l'Italia era guidata da un vecchio marinaio come Marcello Lippi che era approdato alla Nazionale dopo averne viste (e vinte) di ogni genere. Il curriculum di Gattuso, invece, è fatto finora più da esoneri e rescissioni che da successi, a parte la bella coppa Italia vinta con il Napoli nel 2020. Ma non è nemmeno questo il punto fondamentale che lascia perplessi sulla scelta di Gattuso, quanto il suo temperamento, appunto, da sacro furore. Perché purtroppo adesso Ringhio è finito sulla panchina più scomoda d'Italia, nel posto più sotto pressione dell'intero sport nazionale. Di fronte alle inevitabili critiche e contestazioni che gli pioveranno addosso alla prima sconfitta o al primo pareggio deludente, come reagirà Gattuso? Avrà imparato a sufficienza in questi anni a controllarsi? La panchina da ct, ricordiamocelo, è riuscita a far saltare i nervi persino a Enzo Bearzot e Cesare Maldini, in tempi in cui attorno alla Nazionale c'era persino meno accanimento mediatico.
È vero anche, però, che Rino ha iniziato la sua carriera da tecnico con un battesimo di fuoco sulla panchina di Zamparini, il mangia-allenatori per antonomasia. E quindi gli concederemo almeno un'attenuante, quella di dover lavorare con un materiale veramente scarso: gente incapace di sbranare persino una Macedonia.