I tutti neri del canestro Gli Usa schiacciano il politicamente corretto

Durant e soci travolgono la Cina all'esordio Niente posto per i bianchi, conta solo vincere

Marco Lombardo

nostro inviato

a Rio de Janeiro

I cinesi sono venuti a Rio per vedere i marziani e hanno scoperto che sono tutti neri. Sono solo i primi della lista, perché il torneo di pallacanestro non ammette prigionieri e così Sergio Scariolo, l'italianissimo coach della fortissima Spagna, ammette con humor rassegnato: «Credere di poter giocare per l'oro è come convincersi che Cappuccetto Rosso esiste davvero». I marziani neri insomma hanno cominciato come dovevano, vincendo 119-62 contro la Cina senza neanche guardare in faccia l'avversario, e questo nel tabellino della nazionale Usa di basket era praticamente scontato. Anche se, in effetti, il successo inaspettato di Kevin Durant e compagni è un altro e imprevedibile: quello contro il politicamente corretto.

Il basket americano in pratica si è messo a nudo, e se la Nba la ricchissima, potentissima, ambitissima lega professionistica allarga sempre di più i suoi confini ingaggiando giocatori di tutto il mondo, Rio certifica che quando si tratta di fare una nazionale si torna al metodo tradizionale. E se sui parquet nordamericani se ne vedono di tutti i colori, ai Giochi il basket Usa ha una sola tonalità: quella di dodici giocatori total black. Non è questione di razza o razzismo, s'intende, ma di opportunità e la differenza non è sottile: la Nba deve fare soldi, il team guidato da Micheal Kryzewski il mitico Coach K deve solo vincere. Così ecco: anche senza star come Curry e LeBron, ci sono appunto Durant ma anche Thompson, Irving, Cousins, Anthony più una classe media da paura. E qui sta il punto: forse in panchina qualche bianco ci sarebbe pure stato, ma la pallacanestro in questi casi è di un'altra tonalità. E il divario è evidente: in Nba il lavoro cominciato anni fa dal Commissioner Davis Stern con l'allargamento delle franchigie in Canada ha anche espanso i confini del politically correct sotto canestro. E, per dire, uno come Andrea Bargnani - campione ma non certo assoluto - non sarebbe mai stato chiamato 10 anni fa come prima scelta assoluta del draft: allora serviva un bianco lungo in vetrina e lui era l'uomo giusto al posto giusto.

Ora a tanti anni di distanza Adam Silver, il successore di Stern, dopo aver arricchito con il nuovo contratto giocatori di seconda fascia in nome della parità di diritti, è entrato a gamba tesa addirittura contro la legislazione di uno stato, il North Carolina, annullando Charlotte come sede del prossimo All Star Game 2017: «I valori fondamentali della nostra lega sono l'accettazione delle diversità, l'inclusione, l'equità e il rispetto degli altri. Non possiamo fare festa dove questi valori vengono cancellati da una legge». Ovvero quella che impedisce (tra l'altro) ai transgender di scegliere il bagno pubblico del genere diverso da quello scritto sui documenti. E dunque: che c'entra il basket? C'entra, quello della Nba aperta al mondo e ai milioni di dollari che alimentano lo show planetario.

Ma qui a Rio il Team Usa deve solo mettere la palla nel canestro e d'altronde Kevin Durant è stato chiaro: «Ho scelto di esserci perché voglio solo pensare a giocare». È la logica dei playground in fondo, quella del basket senza ipocrisie, dove tutto è bianco o è nero. Anzi, nero del tutto.

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