Lorenzo Pellegrini, classe 1996, appena arrivato in azzurro per effetto del dopo apocalisse, è stato di una sconcertante sintesi. «Siamo stanchi di veder vincere gli altri» confessa a nome forse dell'intera generazione su cui è puntata la rinascita calcistica. Anche noi, francamente, lo siamo. Ma qui oltre che stanchi serve capire perché tutto questo accade e in particolare accade non soltanto ai rampolli del vivaio tricolore ma coinvolge i rappresentanti più qualificati della platea straniera del calcio italiano. A Manchester abbiamo scoperto che Immobile e Insigne, i due punteros che dovrebbero garantirci un cammino decoroso verso l'europeo 2020, non sono ancora sintonizzati sulla lunghezza d'onda giusta. Hanno sbavato e sprecato un paio di occasioni ciascuno per sospingere la sfida con l'Argentina su un crinale diverso. Eppure sono tra i nostri talenti più celebrati. L'assenza del napoletano dalla notte del 13 novembre a San Siro fu narrata come la causa addirittura dell'eliminazione per mano della Svezia. Forse è il caso di ripensare alla famosa diagnosi di Fabio Capello il quale sentenziò, alcuni mesi fa, che il campionato italiano «è meno allenante» di altri, oppure di meditare sulla frase di Gigi Di Biagio, ct ponte, secondo il quale per mancanza di esperienza internazionale e di prove ad altissimo livello (leggere qui Champions league), i calciatori italiani scoprono in giro per il mondo che i loro coetanei praticano «un altro sport».
È qui, allora, la spiegazione didascalica. E per ottenere una conferma solenne è appena il caso di includere nella lista dei rimandati o addirittura bocciati per il mondiale un bel po' di stranieri che pure incarnano dalle nostre parti il ruolo di campioni. Un esempio plastico? Paulo Dybala, ignorato insieme con Maurito Icardi, dal ct Sampaoli che ha già chiuso loro le porte del mondiale in Russia giudicando, con qualche ragione, Messi, Higuain e Aguero, tipi più affidabili alla bisogna. E se si pensa infine che la musa riconosciuta del Milan riabilitato da Gattuso è Suso, anche lui lasciato a casa dalla Spagna di fine ciclo, allora il giudizio diventa scolpito sulla pietra. Siamo lontani anni luce dalla concorrenza e in particolare abbiamo davanti un deserto da attraversare prima di acquartierarci in zone più degne della gloriosa storia azzurra.
È la serie A che deve salire di livello, magari moltiplicando la qualità e diminuendo il numero dei club, approvando in tempi veloci la riforma che prevede la creazione di seconde squadre e accademie sul modello tedesco. Il 20 maggio (dixit Costacurta) potrà arrivare Ancelotti (speriamo) o Mancini sulla panchina della Nazionale ma nessuno dei due è mago Merlino.
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